Alberto Seassaro
Gli anni degli studi alla Facoltà di Architettura
Il mondo della forma tra arte e scienza 
La sperimentazione nei progetti di sistemi componibili di arredo e negli spazi abitativi 
Nel modulo prefabbricato la speranza di una edilizia democratica
Tensione trasformativa. L’imprinting alla didattica e alla ricerca nella Facoltà di Architettura tra gli anni ’60 e ’70
Il sistema design nei documenti istituzionali: la storia di un tenace costruttore
L’omaggio dei colleghi della Facoltà
Colophon

Alberto Seassaro. Il demiurgo

Determinazione personale, capacità di cogliere idee e contenuti condivisi, di dare senso a un progetto unitario, di governare un percorso di legittimazione, creano il terreno per la costruzione di una Scuola di Design di portata internazionale.
A cura di Antonella Penati, Agnese Rebaglio, Paola Bertola
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«I passaggi per giungere alla facoltà del Design sono complessi […]. Il Ministro Ruberti […] condivise e appoggiò il progetto inserendolo nella legalità statutaria. […] Tomás Maldonado mi appoggiò su tutto il percorso […]. Angelo Cortesi, allora presidente ADI […] operò per stabilire una connessione tra formazione e sbocco professionale. Il seguito è più noto e conosciuto: l’amicizia fraterna con Alberto Seassaro e il suo talento alimentarono la crescita e lo sviluppo dell’iniziativa come nessuno avrebbe potuto fare. Non ci risparmiammo e ponemmo così solide radici a un riconoscimento internazionale in un posto di indubbio prestigio». Oggi la Facoltà del Design sta nell’Olimpo che merita.
Cesare Stevan, 11 aprile 2024, https://www.milanopost.info/2024/04/11/prof-stevan-fondatore-facolta-design/
Alberto Seassaro e il Design al Politecnico di Milano
Luglio 1939. Nasce a Milano
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Aprile 1964. Si laurea in Architettura al Politecnico di Milano
Alberto Seassaro è stato il primo Presidente del Corso di Laurea in Disegno industriale del Politecnico di Milano. Al Politecnico ha fondato e presieduto la Facoltà del Design e il Consorzio POLI.design e ha portato a istituzione il Dipartimento In.D.A.Co. (Dipartimento di Industrial Design, Arti e Comunicazione). 
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1994 - 2000
Alberto Seassaro è Presidente del Corso di Laurea in Disegno Industriale
Evento
2000 - 2010
Alberto Seassaro è Preside della Facoltà del Design
Evento
2013 - 2020
Alberto Seassaro è Professore Emerito
Evento
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A livello nazionale ha operato per promuovere lo sviluppo del design nelle Università italiane, favorendo la nascita di Corsi di Laurea e Laurea Magistrale. Ha fondato e diretto la Conferenza nazionale dei Presidi di Design e la Società Italiana del Design, promuovendo a livello nazionale la diffusione della cultura del design attraverso la formazione e la ricerca universitaria. 
Titoli accademici
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Professore straordinario di Tecnologia dell’architettura nel 1990, presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano; titolare della cattedra di Tecnica ed economia della produzione e, dal 1995, Professore ordinario di Disegno industriale; 
Presidente del Consiglio dell’Indirizzo tecnologico del Corso di Laurea in Architettura dal 1981 al 1989; 
Presidente del Corso di Laurea quinquennale in Disegno industriale dal 1994 al 2003; 
Preside della Facoltà del Design dal 2000 al 2010; 
Presidente del Consorzio Poli design dal 1999 al 2002; 
Fondatore del Dipartimento In.d.a.co (Industrial Design, Arti e Comunicazione)  
Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi delle Facoltà del Design (CPD) dal 1999 al 2010; 
Presidente della Società Italiana del Design (SI.design) e delle precedenti forme associative (AUDI) dei docenti e ricercatori del SSD di Disegno industriale dal 2005 al 2010; 
 
Membro del Consiglio scientifico del Centro per la valorizzazione e conservazione dei Beni Culturali di Ateneo dal 2009; 
Membro del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Poliedra del Politecnico di Milano dal 1999 al 2011; 
Membro della Commissione Scientifica del Dipartimento Indaco; 
Membro della Giunta del Dip.to di Programmazione, Progettazione e Produzione Edilizia (P.P.P.E. poi Di.Tec - Direttore prof. Scoccimarro) e responsabile della Sezione di Ricerca di Disegno industriale; 
Membro della Giunta della Facoltà di Architettura (Preside prof. Stevan); 
Membro del collegio di Dottorato in Architettura degli Interni (Coordinatore C. Stevan); 
Membro del collegio di Dottorato in Tecnologie e design per i Beni Culturali; 
 
Professore Emerito del Politecnico di Milano dal 2013; 
Gli anni degli studi alla Facoltà di Architettura
Dopo aver conseguito i diplomi di maturità artistica e scientifica, si iscrive nel 1959 alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.  Già padre, e studente lavoratore. Insegna all’Umanitaria e lavora come renderista prima, e co-progettista free-lance poi, in importanti studi di architettura milanesi. 
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Diversi progetti condotti da studente, quasi sempre in indissolubile coppia con Ugo la Pietra, vengono presentati dalla docenza in pubblicazioni sulla didattica.
Cesare Blasi, Un'esperienza didattica, in "Comunità" n.100
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È studente del 4° anno quando, alla Facoltà di Architettura, prende avvio il periodo delle grandi rivendicazioni studentesche che culminano con le occupazioni del 1963 e poi del 1967. La partecipazione attiva alle istanze di rinnovamento portate dagli studenti segnerà profondamente i contenuti del suo impegno istituzionale e della attività di ricerca e di insegnamento degli anni successivi.
«La Facoltà di Architettura di Milano nella seconda metà del Novecento ha avuto una storia speciale: venne occupata dagli studenti nel 1963 (prima occupazione di una sede universitaria in Italia) e, di nuovo, nel 1967, con un anno di anticipo rispetto al fatidico Sessantotto; ma, soprattutto, fu sede di una Sperimentazione didattica che determinò la dura punizione di due Presidi e del Consiglio di Facoltà, responsabili di averla promossa e condivisa».
Raffaele Pugliese, Sperimentazione o dell’Architettura politecnica, 2013, p.9
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Il clima di quel contesto fa maturare il suo interesse per una ricerca di progetto autonoma rispetto ai saperi professionali e finalizzata alla didattica; il coinvolgimento della società e dei bisogni delle “classi” sociali più fragili nei progetti di studio e di insegnamento; l’idea di progetto come atto politico. 
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Nella foto: Alberto Seassaro, Renzo Piano, Ugo La Pietra, Milly Cappellaro
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La Tesi di Laurea si colloca in un momento cruciale della vita della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Le istanze portate dal movimento studentesco mettono in luce la crisi della cultura architettonica e del suo insegnamento e la necessità di aprire nuove relazioni tra ricerca, progetto e didattica del progetto. Questa cornice inquadra la nascita degli Istituti, luogo di raccordo tra ricerca e didattica. 
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È il 1964, Alberto Seassaro con Ugo la Pietra, si laurea in Architettura con 100/100 e lode discutendo la tesi: “La ricerca morfologica. Proposta di lavoro per gli Istituti delle Facoltà di Architettura”. I contenuti della ricerca compendiano l’interesse per le culture artistiche, le arti visive, le teorie della forma con l’impegno politico-istituzionale volto ad elaborare le finalità scientifiche dei nascenti Istituti della Facoltà di Architettura, luoghi della esplorazione dei nessi tra ricerca e didattica. Il giorno della Laurea, diventa padre per la seconda volta.
Ugo La Pietra e Alberto Seassaro, Catalogo della mostra "La Ricerca Morfologica"
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La tesi, allestita come mostra, verrà riproposta nel ’65 presso l’Istituto di Composizione e nel ‘66 presso la Galeria Flaviana di Locarno. 
«Il concetto di "morfologia come concretizzazione spaziale dei comportamenti di fruizione delle forme", in cui l'accezione di fruizione viene estesa agli aspetti d'uso, si pone come risolutore sia della tradizionale dicotomizzazione dell'architettura in tipologia-morfologia, in cui questa è di fatto intesa come sinonimo di forma, sia delle settorializzazioni della semiotica in sintattica-semantica-pragmatica, riconducendole al loro aspetto strumentale. Con questa definizione si individuano come ambito della ricerca "le interazioni di mutua modificazione intercorrenti tra forme e comportamenti [...]». 
Dalla Tesi di Laurea La Ricerca Morfologica, Ugo la Pietra e Alberto Seassaro (1964) 
Estratto della Tesi di Laurea di Ugo La Pietra e Alberto Seassaro, "La Ricerca Morfologica"
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Il focus della tesi è sulla definizione del concetto di forma e sulla sua “operabilità” in stretta relazione all’ambito architettonico passando attraverso la definizione di alcuni presupposti volti a definirne la prospettiva di osservazione e a perimetrarne il campo di validità.
Concetti emergenti nel progetto di Tesi
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“Morfologia” come concretizzazione spaziale dei comportamenti di fruizione delle forme”; 
“Natura esistenziale dello spazio e natura spaziale dell’esistenza (rielaborati da Merleau-Ponty);  
“Campo della forma” come “campo di possibilità” e i connessi concetti di “sintropia”, “finalismo”; idea di “concetto spaziale informativo” e di “modello spaziale elementare sperimentabile”;  
“Modelli morfologici” come utensili spaziali;  
“Tessiture” e concetto di “corpi tissuranti”; 
“Spazio modulare”; 
“Modelli di comprensione”: modelli come strumento e al contempo metodo che consente di integrare l’elaborazione della teoria e la sua verifica sul reale in forma reciprocamente interagente”;  
“Sinestesia tra le arti”  
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«[…] Poi arrivò la laurea, da molti anni non si era più visto un trenta e lode, io e Seassaro fummo baciati dal preside Dodi con complimenti e apprezzamenti per la nostra tesi che in modo spettacolare presentammo in una mostra: foto, disegni, pannelli, modellini: la “sinestesia tra le arti”, con proposte per “fare ricerca” all’interno della Facoltà di Architettura […]». 
Ugo la Pietra in Stefano Follesa, Pane e progetto. Il mestiere del designer. Franco Angeli, Milano 2009. 
La tesi di Laurea di Seassaro-La Pietra (1964-65) è il punto di avvio di successive Ricerche Finanziate (1965) sul concetto di “forma” come “ambito ricercativo intenzionato” alle dinamiche spaziali peculiari degli studi di architettura e (1965-66) sugli studi disciplinari della forma finalizzati a costruire un repertorio bibliografico orientato e indirizzato ai problemi di ricerca propri degli Istituti di Composizione. 
Ugo La Pietra
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Il mondo della forma tra arte e scienza 
Gli anni che seguono la laurea sono caratterizzati da una produzione frenetica.  Alberto Seassaro si dedica, fin dai primi anni '60, ad attività di sperimentazione artistica. Le sue ricerche lo conducono a elaborazioni metodologico-progettuali che si concretizzano in manufatti, mostre e installazioni ambientali quali le “picto-sculture” ’62-'65; i "morfemi" '65-'67; le "progressioni morfologiche" e i "morfo-ambienti luminosi" '68. 
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«[…] I morfemi sono modelli spaziali che “fissano”, concretizzandoli in forme tangibili, gli esiti di una attività di ricerca di base sulla teoria e la metodologia del progetto di architettura, impiegabili nei processi di comprensione delle logiche di costituzione formale e nelle attività di sperimentazione trasformativa».
Alberto Seassaro, 1968
Seassaro. I morfemi. Presentati da Ettore Sottsass Jr
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Le sue opere vengono esposte in rassegne e mostre collettive e personali con presentazioni e scritti critici di Gillo Dorfles, Lucio Amelio, Ettore Sottsas jr, Tommaso Trini, Germano Celant, F. Flarer, Francesco Vincitorio, Emilio Garroni, Silvio Ceccato, Umbro Apollonio, Enzo Frateili. 
Made In. Bollettino della Modern Art Agency, Gennaio-Febbraio 1969
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Alberto Seassaro, Morfema n. 467
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Alberto Seassaro, Morfema n. 567
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Produrre eccezioni di Beppe Finessi
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“Nel mio studio appoggiate contro ad un muro ci sono queste cose di plastica bianca e rossa fatte da Seassaro che si è messo alla ricerca, per se stesso, ma anche per gli altri, di modelli elementari, di elementari raggruppamenti di forme semplici, di prove di incontri e incastri di elementi rugosi con elementi bucati, di tubi con superfici, di figure con manufatti, di canali di luce con riflessi eccetera, eccetera, tutte queste cose che si fanno per capire meglio che cos’è la natura del mondo delle forme…”
Ettore Sottsass jr, 1968
Riemergono dai forzieri della storia delle arti le ricerche che Alberto Seassaro aveva sognato, progettato e iniziato a presentare a poco più di vent’anni, nei primi Sessanta, e poi distillato ed elaborato con scientifica immaginazione per poco più di un lustro, fino ad arrivare al 1968-69, momento epocale in cui ogni cosa veniva rimessa in discussione (con i giovani di tutto il mondo che scendevano in piazza per dire “no”), e biennio durante il quale la sua attività di artista “puro” arriva a risultati evidentemente originali e ottiene riconoscimenti significativi: un diploma d’onore alla Prima Rassegna Internazionale d’Arte Contemporanea d’Avanguardia - Premio Piero Manzoni, la partecipazione a uno dei leggendari incontri del Centro Pio Manzù (il 17° Convegno Internazionale Artisti Critici Studiosi d’Arte, dove è a fianco di Getulio Alviani, Enrico Castellani e Gianni Colombo), un’opera donata al “Comitato per la promozione dell’attività antimilitarista e per l’obiezione di coscienza” e acquistata dal conte Alberico Barbiano di Belgiojoso, fino a una presentazione di Gillo Dorfles su “Made In”, bollettino della Modern Art Agency nell’orbita del grande gallerista Lucio Amelio.
Opere che nel “sistema delle arti” occupano una posizione eccentrica, d’eccezione.
Ma l’essere eccentrico e produrre eccezioni era evidentemente nel suo DNA, perché Alberto Seassaro non era un semplice artista, ma apparteneva a quella categoria tutta italiana di autori transdisciplinari che, sostenuti da una vera e propria “sindrome di Leonardo” (Enzo Biffi Gentili), hanno dimostrato di sapere proprio “fare tutto”.
Autori difficilmente classificabili, sempre fuori dal coro, attivi lungo traiettorie indefinibili, attraverso linee di azione sorprendenti, in grado di muoversi tra i vari ambiti professionali, passando con scioltezza dall’architettura al design, dall’allestimento alla scenografia, dalla grafica alla moda, dalla pittura alla scultura e fino alla fotografia. Sì, perché il nostro è il paese di Carlo Mollino e Angelo Mangiarotti, Leonardo Mosso e Umberto Riva, Enzo Mari e Alessandro Mendini, Corrado Levi e Nanda Vigo e di molti altri eclettici ancora. Molti di loro erano architetti di formazione, proprio come Alberto Seassaro, che qui, alle nostre latitudini, conosciamo per il seminale, fondativo e immenso lavoro fatto per costituire la Scuola del Design all’interno del Politecnico di Milano, ma che inizialmente aveva intrapreso - giovanissimo - un percorso che lo avrebbe portato a un’attività da vero e proprio artista.
A quei primissimi cimenti, una volta laureato in architettura, Seassaro avrebbe aggiunto anche un’attività professionale incrociando il suo percorso con quello di un altro progettista difficilmente inquadrabile come Ugo La Pietra. Anni di complicità, passioni comuni, scambi intellettuali, ed evidenti “segni” che rimbalzano da una testa all’altra: sculture che diventano lampade, e corpi luminosi che diventano modelli plastici. Proprio come i lavori di Seassaro più noti, colti e per alcuni versi enigmatici: i “Morfemi”, che dimostrano l’estrema originalità del suo pensiero scientifico e politecnico, proponendosi tra oggetti d’arte e meta-progetti, “modelli spaziali morfologici, nati da una ricerca urbanistica”, moduli ed elementi di costruzioni ideali che sembrano trovare linfa in alcuni pensieri architettonici di Enrico Prampolini e in alcuni disegni astratti di Bruno Munari degli anni Quaranta, e che trattengono in filigrana alcuni segni “grafici” del suo mentore Ettore Sottsass.
“Morfemi” come modelli di possibili (elegantissime) architetture, suggestioni plastiche che indagano il primato della geometria, accelerandolo con giochi di pieni e vuoti, negativi e positivi, con affioramenti e slittamenti, in un continuo rimbalzo di ombre e luci, come avrebbero potuto fare i protagonisti dell’ultima avanguardia, i coevi dell’arte cinetica e programmata Gruppo N, Gruppo T e MID.
Qualcosa che evidentemente indaga il significato delle forme, e che rimanda a una stagione in cui la grande scultura ricercava libera, senza avere ambizioni da piedistalli nei musei, come dimostrano alcune opere uniche di artisti leggendari come Katarzyna Kobro, Georges Vantongerloo a Naum Gabo.
Qualcosa che il mondo dell’arte ha sostanzialmente dimenticato, qualcosa che la cultura dell’architettura ha solamente sfiorato. Qualcosa che Alberto Seassaro ha provato, riuscendoci, e stupendoci.
“Se poi ho sbagliato il discorso, per piacere, non fateci caso e soprattutto, giusto o sbagliato che sia il discorso, tu, Seassaro, non badarci: continua a fare quello che fai con l’amore e la speranza di adesso”.
Ettore Sottsass jr.
In particolare, la sua ricerca sulla luce, la sua natura e le sue forme, ha dato luogo alla realizzazione di artefatti artistici e ambientali. 
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La sperimentazione nei progetti di sistemi componibili di arredo e negli spazi abitativi 
La progettazione di sistemi componibili di arredo, così come quella di spazi abitativi, gallerie d’arte, mantiene la cifra della sperimentazione. Nel progetto, le forme, i materiali utilizzati e le tecniche di lavorazione vengono sollecitati nelle loro potenzialità espressive sia in ambito artigianale sia nella produzione industriale.
"L'intero mobile corre su rotaie", Alberto Seassaro, in Domus n. 489
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Suoi progetti partecipano a concorsi, rassegne e mostre nazionali e internazionali (tra queste “Italy. The New Domestic Landscape", New York 1972).
Alberto Seassaro, Monoblocco per arredo integrale
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Estratto del Catalogo della Mostra Italy: The New Domestic Landscape, MOMA
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«Nel progetto, le questioni sociali dell’abitare vengono rielaborate non cercando una risposta retorica, ironica, anticonvenzionale ma una soluzione che risponde all’uso giocando con i temi della modularità e della flessibilità».
Catalogo della mostra Italy: The New Domestic Landscape, MoMA, 1972
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Suoi progetti ottengono riconoscimenti, premi e menzioni (tra questi: 1° premio MIA-Abet Print, Monza 1969). 
Alberto Seassaro, Sistema componibile per Arredo in laminato plastico
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Galleria privata Walter Spaggiari
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Ugo La Pietra, Alberto Seassaro, Galleria d’arte privata Walter Spaggiari, Milano
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Domus n. 465
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Ugo La Pietra, Alberto Seassaro, Galleria d’arte “Il Cenobio”, Milano
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Domus n. 451
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Alberto Seassaro, Spazio abitativo a Milano, in Interiors '70
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Alberto Seassaro, Casa Rizzi a Camogli, in Interiors '70
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Alberto Seassaro, Casa di Corso Garibaldi a Milano
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Immaginare lo spazio dell'abitare tra sperimentazione e sistema di Giampiero Bosoni
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Al momento si conoscono solo poche opere di Alberto Seassaro nel campo degli interni e del design del mobile, ma vogliamo tuttavia sperare che una ricerca più approfondita possa far riemerge anche altri suoi progetti, realizzati o meno, che ci permettano di ricostruire un quadro più chiaro dell’interessante e meritevole lavoro di ricerca di Seassaro come designer d’interni e degli elementi d’arredo a cavallo degli anni Sessanta e Settanta.  
Attualmente si conosce un’intensa attività concentrata nel periodo 1965-1970 che inizia a un solo anno dalla sua laurea (1964) con la realizzazione di un interno piuttosto forte e con un certo carattere “aggressivo” d’avanguardia per una galleria d’arte privata (1965/66) progettata insieme a Ugo La Pietra, col quale fonda nel 1964 il P/S Project Studio, a cui segue il progetto d’interni altrettanto deciso e travolgente realizzato, sempre con La Pietra, per la celebre galleria d’arte Il Cenobio (1966). A questi due progetti d’interni per spazi espositivi seguono due interni d’abitazione, molto particolari per la complessa trama di telai plurifunzionali che si incrociano nello spazio, entrambi progettati dal solo Seassaro, l’appartamento a Milano per la sorella Paola Seassaro nel 1968, e una casa di vacanza a Camogli del 1969. A questi progetti d’interni seguono alcune interessanti ricerche nel campo del design di sistemi per l’abitare, il programma di tavoli componibili Addition per Acerbis del 1969, e nello stesso anno un “elemento da centro componibile e trasformabile” in stratificato print ABET, firmato insieme a Casertelli e Valota, con il quale vincono il concorso MIA (Mobile Internazionale Arredamento Monza) con in giuria fra gli altri Joe Colombo, Giotto Stoppino, Gianemilio Monti e Carlo Pagani. A seguire nel 1970 viene pubblicato su Domus n. 489 il prototipo di un suo progetto (1968) di un monoblocco concentrato, plurifunzionale e articolabile, sempre realizzato con il sostegno dell’azienda Acerbis, chiaramente pensato per nuovi spazi abitativi a pianta totalmente libera, che viene pubblicato nel 1972 anche sul catalogo della celebre mostra al MoMA di New York “Italy: the New Domestic Landscape” con il titolo “Central Block, containing bed, table, wardrobe, toilet, shelves”. 
Nel frattempo, nel 1969 è tra i fondatori dello Studio Associato di Progettazione, Consulenze, Ricerche, insieme a Cesare Stevan, Alberico Belgiojoso, Ugo La Pietra, Gian Maria Beretta, Vittorio Algarotti, attività questa di cui si ha ancora poca conoscenza. 
Già solo con queste poche ma significative tappe emerge un percorso di Seassaro designer decisamente interessante per la forte vena sperimentale, portata a confrontarsi subito con il progetto reale, con lo stesso spirito manifestato con grande efficacia anche da alcuni suoi amici milanesi di quegli anni, quale il gruppo De Pas, D’Urbino e Lomazzi, con i quali incrocerà in quel periodo anche un’esperienza lavorativa presso l’azienda Acerbis. 
La sua visione dello spazio abitato aperto, relazionale, interagente, diagrammatico, flessibile e mobile interpreta con forte personalità i temi delle avanguardie storiche, soprattutto costruttiviste e neoplastiche, facendo proprie le linee di ricerca portate avanti, già dai primi anni Cinquanta, da uno dei suoi grandi maestri al Politecnico di Milano, Vittoriano Viganò, presso il quale farà anche un proficuo periodo di apprendistato, come pure presso gli studi Bbpr, Zanuso, Frattini e Latis.  
Ma quasi sicuramente questo percorso prende spunto anche dalla ricerca sui temi della prefabbricazione edilizia di Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti, spesso da loro incrociata con il design del mobile, dalle ricerche degli anni Sessanta sul rapporto colore/struttura di Ettore Sottsass, e pure dalle coeve esperienze di Joe Colombo a partire dal 1963, come pure delle prime manifestazioni del pensiero Radical in Italia e all’estero, ma anche per le evidenti assonanze s’incrocia con le sperimentazioni di Liisi Beckmann con la poltrona Karelia (1966) per Zanotta, e di Fabio Lenci per la Comfort Line nel 1967.  
In questo quadro ricordiamo anche il suo importante lavoro di ricerche teoriche e applicate nel campo delle arti visive condotto dal 1962 al 1969, decisamente trasversali con il progetto del design degli interni, da cui nascono dei manufatti di estetica sperimentale: i Morfemi, le Progressioni morfologiche e gli Ambienti primari che ha esposto in mostre collettive e personali. 
In questa complessa ricerca progettuale di Alberto Seassaro si riconoscono complessivamente alcuni tratti che rimarranno sempre al centro del suo pensiero metaprogettuale (poi riflesso anche nel suo importante lavoro di docente universitario e programmatore didattico), ovvero la passione per un elaborato concetto di paradigma/metafora della tecnologia da assumere anche come principio etico ed estetico, l’interesse per le diverse e più innovative forme della percezione ambientale (colore, luce, suono, nuovi materiali industriali) e un’idea di progetto tanto programmatico e sistemico, quanto aperto a una continua verifica, secondo una sua visione anarchica ed eterodossa dell’approccio metodologico razionalista. 
 
Giampiero Bosoni 
Milano, 10 novembre 2024 
Nel modulo prefabbricato la speranza di una edilizia democratica
La progettazione modulare e le tecnologie industriali di prefabbricazione del componente edilizio costituiscono una parte fondamentale della ricerca progettuale di Alberto Seassaro in ambito professionale. È il tema che appassiona in quegli anni molti insigni architetti, nel mondo ed anche in Italia.
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Le competenze maturate nella sua ricerca professionale diventeranno materia di studio nella sua vita universitaria e costituiranno il punto di avvicinamento all’Area tecnologica prima e a quella del design poi.
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Il tema dell’industrializzazione del settore edile e la produzione di componenti e manufatti industriali per uso residenziale, per edifici di pubblico interesse o industriali, lo avvicinano a figure come Giuseppe Ciribini, Marco Zanuso, Giacomo Scarpini e alla realtà di Industrie come Edison S.p.A e Finsider S.p.A per le quali lavora come consulente. 
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Per l’Industria “Sviluppo Silicalcite SpA” di Montecatini Edison, sviluppa, con Ugo La Pietra, il Programma di ricerca per la sperimentazione e lo sviluppo di un Sistema di prefabbricazione in Silicalcite per case unifamiliari e tipologie affini (1966) che lo terranno impegnato diversi anni. 
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Il programma di ricerca prevede la sperimentazione del prodotto Silicalcite e del procedimento produttivo, finalizzato alla messa a punto di un “Catalogo” di “abitazioni tipo”, di tipologie di componenti, di tipologie di assemblaggio di elementi prefabbricati di serie. Il catalogo lo si può anche leggere come raccolta di nuovi materiali e del nuovo vocabolario che accompagnano l’evoluzione dell’industria edilizia. 
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Nel 1971 entra a far parte del Centro Ricerche Montedil del Gruppo Montecatini Edison come responsabile dello sviluppo, coordinamento e integrazione dei prodotti edilizi e la supervisione delle realizzazioni degli interventi dei diversi complessi edilizi realizzati dall’Ufficio Tecnico Montedison e da progettisti esterni.
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Emerge in questi studi l’entusiasmo per l’uso di elementi modulari in architettura per gli aspetti di flessibilità funzionale resi possibili dall’assemblaggio di componenti semplici in sistemi complessi e per la loro vocazione a creare, attraverso gli accostamenti, texture di superficie.
La possibilità di ottenere esiti diversi, a partire da componenti di base aggregabili in modo differente – quello che in tempi più recenti è diventato il mito della personalizzazione – viene qui caricata di valori etici che vanno verso l’idea di “casa-fai-da-te”, di democratizzazione della qualità dell’abitare. In questa generazione di architetti è sottesa anche la scommessa politica di insinuarsi – come tecnici del progetto – nelle maglie dell’industria, orientandone le strategie. Negli scritti successivi di Seassaro si leggerà la disillusione di questa speranza.
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Tra i progetti più maturi della sua attività professionale, quello realizzato per ENEA, con l’arch. Gianni Scudo. Si tratta di un “Edificio per uffici e laboratori di tecnologie energetiche appropriate”, a Ispra (realizzazione terminata nel 1987). 
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«Di recentissima realizzazione è il nuovo edificio che a Ispra ospita alcuni laboratori del Dipartimento Fonti Alternative e Risparmio Energetico; la realizzazione è particolarmente interessante per come elementi della tecnologia solare passiva sono stati perfettamente integrati nell’architettura: in particolare per questo edificio è stata ideata una “parete camino solare”, realizzabile in modo industriale, e per la quale l’ENEA ha ottenuto un brevetto richiesto dalle industrie nazionali che lavorano nel settore degli involucri».
Umberto Colombo, Architettura ed energia. In Sette edifici per l’Enea, 1987, p. 9
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«… Il laboratorio di ingegneria a Ispra è addirittura una sequenza di strutture sperimentali, ognuna col suo specifico valore di prototipo, montate con bravura in un insieme volutamente discontinuo; l’impresa che ha gestito la progettazione esecutiva […] è passata attraverso molte varianti, registrando in anticipo l’impatto delle ricerche tecnologiche qui localizzate, riguardanti diverse forme di produzione di calore da fonte solare; involucro e impianti non sono più distinguibili, anzi in una parte dell’edificio gli impianti formano direttamente la scatola edilizia, con effetti geometrici inconsueti marcati dalla festosa policromia».
Leonardo Benevolo, Architettura ed energia. In Sette edifici per l’Enea, 1987, p. 13.  
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Breve nota curricolare
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Tra i concorsi di progetto, le realizzazioni di opere architettoniche, la supervisione degli aspetti tecnologici dell’utilizzo di Manufatti prefabbricati di Montedison, di questi anni: Centro servizi operativi Galleria Monte Bianco (1965); Uffici e laboratori della Silicalcite SpA (Montedison) a Milano con Ugo La Pietra (1965); Scuola primaria Giovanni XXIII a Villa Gordiani, Roma, (1966); Casa Unifamiliare al Lido di Pomezia (1966/67); Scuola primaria quartiere Forte Quezzi, Genova, (1967); Liceo classico di Grosseto (1967); Progetto per il Concorso I.S.E.S di selezione progettisti. Quartiere 167 a Secondigliano, Napoli (1967) della Edilstudio SpA (Montedison) con Benedetto Resio, Ugo La Pietra; Progetto per il Concorso appalto del Comune di Milano per venti scuole prefabbricate (Edilstudio SpA di Montedison); Case ICLIS (Istituto Case per Lavoratori Industria Siderurgica) Italsider (Bagnoli, Napoli 1968); Villaggio ECA (Ente Comunale di Assistenza) (Torino 1969); Università UTE a Provins (Francia 1969); complesso scolastico a Belleville (Francia 1969). 
L’attività di ricerca e sperimentazione di Alberto Seassaro nel settore della industrializzazione edilizia e prefabbricazione continua fino agli inizi degli anni ’80 progettando e realizzando edifici con tecnologie industrializzate, fra cui: Edificio di abitazione a Celerina (Svizzera 1972), complesso Gescal a Vimodrone (Milano anni ‘70) con Cesare Blasi, Ugo La Pietra, Gabriella Padovano. 
Tensione trasformativa. L’imprinting alla didattica e alla ricerca nella Facoltà di Architettura tra gli anni ’60 e ’70
È il 1964, Alberto Seassaro e Ugo la Pietra, appena laureati, presentano un Progetto di ricerca dal titolo “La ricerca morfologica. Proposta per una sistematizzazione della bibliografia sui problemi della forma. Contributo alla organizzazione della biblioteca dell’Istituto di Composizione e all’approntamento degli strumenti didattici per i corsi”.
Copertina della proposta di Ricerca di Ugo La Pietra e Alberto Seassaro, "La Ricerca Morfologica"
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La ricerca, diretta emanazione dei contenuti della tesi di laurea, riceverà due successivi finanziamenti ministeriali finalizzati alla definizione di criteri e principi per la costituzione di una sezione della Biblioteca del nascente Istituto di Composizione dedicata ai temi della forma. 
Ugo La Pietra e Alberto Seassaro, "La Ricerca Morfologica. Disegno della cultura sui problemi della forma. Quadro di riferimento alla bibliografia"
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«I settori specifici delle discipline sull’estetica nella linguistica, sulla semiotica, sulla psicologia e fisiologia della percezione, ecc., sono sempre stati coperti “per supplenza” dall’architetto, senza le basi costruttive necessarie per questa operazione, con una meccanica del tutto analoga a quella delle scienze sociologiche ed economiche nei confronti dell’urbanistica. Quindi, questa bibliografia deriva dall’esigenza di affrontare decisamente il dibattito culturale sui problemi dell’architettura moderna attraverso un’adeguata conoscenza dei problemi della forma e la definizione del livello critico e operativo a cui può intervenire l’architetto stesso».
Ugo La Pietra e Alberto Seassaro, La Ricerca Morfologica, 1964, p.7
Oltre alla ricerca, è subito coinvolto da Ludovico Belgiojoso, Vittoriano Viganò, Cesare Blasi nelle attività didattiche nel ruolo di Assistente. È sempre nel contesto della didattica che si avvicina alla figura di Giuseppe Ciribini che affianca come esercitatore nei corsi di “Elementi costruttivi”, “Disegno dei componenti edilizi” e di “Metodologia della progettazione” e grazie a quese esperienze matura il suo interesse per la Tecnologia dell’architettura. È a Ciribini, inoltre, che va ricondotta la sua impronta “sistemica”.  
Programma del Corso di Elementi Costruttivi, prof. Giuseppe Ciribini, Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino, A.A 1966-67
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Negli anni ’60 e ’70 la Facoltà di Architettura vive un momento di particolare tensione sperimentale. Le occupazioni studentesche del 1963 e del 1967 innescano una revisione profonda dello statuto della didattica per il progetto. L’impianto formativo più tradizionale viene soppiantato da raggruppamenti di insegnamenti articolati in macro-tematiche attorno alle quali lo studente è invitato a sperimentare dalla scala urbana a quella degli interni. Alberto Seassaro è presente in diversi raggruppamenti tematici.
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Entrato a far parte del gruppo di ricerca-didattica “Laboratorio di produzione del territorio” formatosi attorno al focus dei temi della casa e dell’abitare e costituito con Giacomo Scarpini, Bianca Bottero e Giorgio Gaetani, inizia ad occuparsi del settore produttivo edilizio e delle sue trasformazioni.
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Il tema della casa, sul piano della ricerca, viene affrontato osservando ad ampio raggio le dinamiche politiche, economiche, sociali, che incidono sulla formazione della domanda abitativa e sulle dinamiche dell’abitare. Gli scritti hanno la forma della dispensa didattica – strumento utilizzato in quegli anni per divulgare “materiali grigi” all’interno dell’università. 
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"Aiuto", Corso di Tecnologia dell'Architettura II, prof. Alberto Seassaro, Facoltà di Architettura, A.A. 1978-79
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Lo sguardo politico sulle tematiche della casa e dell’abitare, in quegli stessi anni, lo portano ad attivare, assieme a Ida Farè, Corrado Levi e Adriano di Leo, attività didattiche dal carattere sperimentale (seminari, progetti, gruppi di ascolto e di autocoscienza) che vanno sotto il titolo de “Il privato è politico”.  
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«Ricordo in particolare il seminario da lui tenuto con Corrado Levi, dal titolo “Il privato è politico”, nel quale l’inquietudine degli studenti e il loro rifiuto dell’architettura erano affrontati con un metodo che affiancava il percorso progettuale a un contemporaneo riconoscimento delle esperienze e delle sensibilità personali. Il seminario era seguito con entusiasmo da moltissimi studenti che ritrovarono, attraverso questa esperienza, una inedita possibilità di avvicinarsi all’architettura e di scoprirne il fascino».
Bianca Bottero, Milano, 10 settembre 2020 
Un ricordo di Alberto Seassaro di Bianca Bottero
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Ho conosciuto e frequentato Alberto quando nella Facoltà di architettura di Milano tutto era messo in discussione, e le discipline dei corsi tradizionali erano contestate dagli studenti che ne esigevano un rapporto più diretto e consapevole con la società. Era il famoso '68 e lo ricordo con rimpianto perché allora eravamo giovani e a quelle cose credevamo con entusiasmo. Allora Alberto esprimeva la sua grande vitalità e le sue eccezionali doti organizzative per creare momenti di libero dibattito e anche di lotta, ma anche per formare gruppi di studio mirati a una riflessione sul senso più profondo del progettare. Ricordo in particolare il seminario da lui tenuto con Corrado Levi, dal titolo “Il privato è politico”, nel quale l’inquietudine degli studenti e il loro rifiuto dell’architettura erano affrontati con un metodo che affiancava il percorso progettuale a un contemporaneo riconoscimento delle esperienze e delle sensibilità personali. Il seminario era seguito con entusiasmo da moltissimi studenti che ritrovarono, attraverso questa esperienza, una inedita possibilità di avvicinarsi all’architettura e di scoprirne il fascino. 
E penso ora che anche le scelte e gli interessi architettonici coltivati in seguito da Alberto, lo studio attento delle tecnologie e l'amore per il design, fossero un modo per decostruire quelle forme stanche e ormai svuotate da qualsiasi vitalità che la tradizione accademica proponeva. Fossero cioè la strada – che si rivelerà fruttuosa nell'ambito del pensiero ecologico, e non solo – per riavvicinare l'architettura alla vita. 
Bianca Bottero 
Milano, 10 settembre 2020 
Decisamente politico il modo di gestire i temi di progetto nella didattica, cimentando gli studenti sui problemi concreti della città, con un coinvolgimento attivo della società (Unione inquilini, Collettivi e Comitati di quartiere, Comitati di occupazione e di lotta per la casa, Movimento studentesco ecc.) per raccoglierne e rielaborarne istanze e bisogni. 
Programmi 1977-78 Ambito n.1, "Ambizioni, classi sociali e territorio"
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I programmi dei corsi mostrano una chiara vocazione alla sperimentazione di modi alternativi di fare didattica. 
Un ricordo di Alberto Seassaro di Cesira Macchia
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Alberto Seassaro è stato per me una persona unica, un importante riferimento accademico e umano. Conosco Alberto da più di cinquant’anni. Ho incontrato per la prima volta il prof. Seassaro da studentessa, al quarto anno della Facoltà di Architettura, quando lui — giovane docente — era impegnato insieme ad altri colleghi in forme sperimentali di didattica e di ricerca, all’epoca ritenute decisamente evolute e sicuramente non sempre accettate dalle autorità accademiche. Già da allora avevo notato l’impegno intellettuale, la curiosità, la volontà di ricercare e approfondire che lo caratterizzavano e che cercava di trasmettere a collaboratori e studenti.
Una volta laureata, ho avuto l’opportunità di lavorare con lui in campo professionale per un breve periodo. In quei mesi ho imparato tanto; era maestro anche nel lavoro professionale: sapeva avere creatività risolutiva e individuare soluzioni non banali. E sapeva disegnare in modo mirabile: a quei tempi si disegnava al tecnigrafo con la matita e i suoi disegni a matita avevano un loro particolare fascino.
Ho poi iniziato a collaborare alla didattica, a fare i primi passi nella ricerca. Eravamo nel campo della Tecnologia dell’Architettura. E anche in questo settore ha saputo tessere una tela di grande importanza, cercando di coniugare la tecnologia con altre discipline per dare risposte adeguate ai tempi. Per anni, insieme ad altri colleghi a livello nazionale, è stato portatore di nuove istanze, ha fatto in modo che il dibattito in campo tecnologico fosse fonte di confronto efficace e produttivo. In particolare, si poneva attenzione ai processi per la realizzazione del manufatto edilizio, alla qualità del prodotto industriale, allo studio del dettaglio costruttivo, alle questioni ambientali; i risultati della ricerca consentivano spesso di produrre pubblicazioni di interesse scientifico e di riferimento didattico.
Gli aspetti citati, praticati nel campo della Tecnologia dell’Architettura, andavano già da allora a intrecciarsi con le questioni del Design, in qualche modo da sempre presenti nel suo lavoro di ricerca, fino ad assumere una propria rilevanza e un proprio autonomo spazio sia nel campo della ricerca che della didattica. E così ha preso in mano il problema ed ha iniziato a progettare quello che con tanto lavoro sarebbe diventato il “Sistema Design”. Come è noto, si è trattato di un lungo percorso, costruito tassello dopo tassello, durante il quale ha saputo coinvolgere colleghi anche di altri atenei che riteneva potessero, secondo le loro competenze e caratteristiche, contribuire alla realizzazione di un solido apparato di Ricerca, i cui risultati sarebbero stati convogliati nella progettazione e nell’organizzazione della Scuola che avrebbe diretto.
L’attenzione è stata rivolta anche e soprattutto a giovani ricercatori, aperti a nuovi scenari, che avrebbero dato e continuano a dare un contributo determinante. Tutto questo con instancabile forza e non senza gravi dissidi. Il risultato lo conosciamo ed è sotto gli occhi di tutti.
Dobbiamo quindi ringraziare un uomo esigente e severo, intelligente e creativo, generoso e speciale.
Cesira Macchia
10 Settembre 2020
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Sono di questi anni numerose pubblicazioni su Rivista che hanno per tema l’industrializzazione del componente e del sistema edilizio, le politiche del settore edilizio, i temi della casa. E anche gustosi testi di supporto all’utente su come gestire i piccoli problemi di “edilizia della quotidianità”. 
In parallelo alle trasformazioni didattiche, avviene anche la nascita degli Istituti, luoghi di ricerca finalizzata alla formazione dell’architetto, entro i quali viene avviato un processo di ridefinizione disciplinare.  Si tratta di passaggi chiave che vedono Alberto Seassaro – alle soglie dei trent’anni – impegnato ad elaborare contenuti ed ipotesi per indirizzare l’evoluzione in atto.
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Nel decennio che va dal ’69 all’’81, partecipa alla elaborazione di proposte di ridefinizione delle aree disciplinari cavalcando il processo che accompagnerà, negli anni successivi, la trasformazione degli Istituti in Dipartimenti. 
Agli inizi del 1970 firma, assieme a Raffaella Crespi, Leonardo Fiori e Marco Zanuso, un documento dal titolo “Proposta per la definizione di una Area di ricerca tecnologica nella Facoltà di Architettura di Milano” nel quale, criticando le riforme introdotte dalla Facoltà in risposta alle richieste studentesche, chiude con la necessità di rilanciare “l’impegno per la rifondazione disciplinare e la progettazione di una didattica di massa per una committenza alternativa” (p. 28). 
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Nel ‘69-70 è incaricato per la Ricerca CNR sulla Industrializzazione Edilizia (Direttore Romani) ed è coordinatore del Gruppo Progettazione funzionale del componente con Raffaella Crespi e Guido Nardi. La Ricerca è l’occasione per avviare un’intensa attività di costruzione di relazioni tra il Gruppo di ricerca del CNR e gli Istituti di ricerca universitari, tessendo una rete che conduce alla costituzione del “Gruppo Nazionale CNR – Produzione Edilizia” di cui sarà Direttore dal 79 all’81.  
Seassaro non fa tuttavia mancare la sua visione critica rispetto al potenziale uso distorto della conoscenza prodotta da questo sistema di ricerca, a causa dei rapporti di dipendenza del CNR dall’industria e a causa delle contrapposizioni di potere tra CNR e Università. 
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Piano didattico per l’Indirizzo Tecnologico
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Le risultanze teoriche delle attività di ricerca, sui caratteri strutturali del sistema edilizio, trovano spazio nel progetto istitutivo del Dipartimento di Programmazione e Produzione edilizia (1979) e, nel 1981, nella istituzione dell’Indirizzo tecnologico, nella Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. L’attivazione dell’Indirizzo Tecnologico, di cui sarà Coordinatore avvia importanti sperimentazioni e l’apertura di linee di lavoro anticipatrici della nascita del Corso di Laurea in Disegno industriale nel 1993, di cui Seassaro sarà Presidente. 
All'origine del Corso di Laurea in Disegno Industriale di Fabrizio Schiaffonati
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L'istituzione del Corso di Laurea in Disegno Industriale ha rappresentato nel Politecnico di Milano, sul finire del secolo scorso, un rinnovamento di una importanza pari alla costituzione nel 1932 della Facoltà di Architettura. Un ampliamento disciplinare della didattica e della ricerca in grado di coinvolgere le due Facoltà, di Architettura e Ingegneria, in un progetto condiviso superando consolidate diffidenze.
Il principale artefice è stato senza dubbio Alberto Seassaro. Di comune formazione nell'area della Composizione Architettonica, con Alberto abbiamo condiviso appena laureati una forte propensione per l'approfondimento della Tecnologia dell'Architettura, operando per la costituzione di un apposito Istituto, di cui sul finire degli anni Settanta ho assunto la direzione, rendendoci autonomi dalla disciplina compositiva della nostra formazione. Una iniziativa in grado di catalizzare molteplici interessi interdisciplinari del processo edilizio alla base della produzione dell'architettura.
In questo contesto Alberto si caratterizzò per una non comune ampiezza di vedute e una capacità di relazioni e coordinamento, ben espresse nella curatela di Storia e struttura del settore edilizio. In Italia dal dopoguerra ad oggi del 1979, coi contributi di un gruppo di docenti che poi nel 1980 avrebbero promosso il Dipartimento di Programmazione, Progettazione e Produzione edilizia, PPPE. Il primo in Italia di area tecnologica a seguito della legge istitutiva dei dipartimenti. Io e Alberto redigemmo il documento programmatico, presentato poi da Marco Zanuso alla Commissione d'Ateneo per l'assenso e l'approvazione ministeriale. La condivisione e l'autorevolezza di Zanuso furono fondamentali per l'accettazione della proposta.
Fui quindi eletto direttore del Dipartimento per sei anni, nel corso dei quali ci rafforzammo con la chiamata di Tomàs Maldonado da Bologna e Achille Castiglioni da Torino. Il successo della iniziativa, che raggruppava una sessantina di docenti e molti assistenti, fece sì che Eduardo Vittoria, componente del Consiglio Nazionale Universitario (CUN) e grande amico di Zanuso anche per la comune esperienza olivettiana, mi sollecitasse a promuovere un Corso di Specializzazione in Disegno Industriale. La realtà professionale e produttiva milanese era fertile per una tale iniziativa, di non facile approvazione dal CUN, se non adeguatamente strutturata.
Mi attivai con Zanuso per istruire la non semplice procedura e nel Consiglio degli Ordinari proposi una Commissione coordinata da Zanuso con Maldonado e Castiglioni. Dopo un congruo tempo Zanuso mi riferì delle difficoltà incontrate nel riunire la Commissione per la poca disponibilità dei colleghi a strutturare la proposta. Pertanto, l'iniziativa non ebbe seguito.
Sul finire degli anni Ottanta si ragionò di riprendere l'iniziativa, valutando l'opportunità di proporre invece un Corso di Laurea in Disegno Industriale, in una favorevole fase di revisione degli ordinamenti didattici. Una ipotesi tuttavia non facile e di grande impegno. Con Alberto ne discutevamo spesso assieme a Valerio Di Battista e Antonio Scoccimarro, con l'interesse anche di altri docenti. D'altra parte, la matrice non poteva che essere nell'impostazione culturale del Dipartimento PPPE, con un orientamento pragmatico e interdisciplinare, vicino alla cultura anglosassone del design.
Agli inizi degli anni Novanta, decidemmo allora che era necessario impegnarci direttamente. In una cena tra noi quattro, con Alberto cuoco nella sua mansarda sui tetti di Corso Garibaldi, discutemmo fino a notte su chi di noi avrebbe dovuto assumersi il compito di dedicarsi all'irto progetto. Convenimmo che fosse Seassaro, anche per i suoi interessi giovanili e la conoscenza del mondo dei designer e degli artisti che non gli era estraneo nei suoi sviluppi.
Alberto non si dichiarò subito disponibile, non nascondendosi le difficoltà e il grande impegno personale che tutto ciò avrebbe comportato. Passarono un paio di mesi in cui rivedendolo lo si sollecitava, meditativo stava maturando la sua decisione. Poco dopo sciolse la riserva. Un atteggiamento non nuovo: il suo fondamentale contributo allo sviluppo delle iniziative dipartimentali nel corso degli anni si caratterizzava proprio per periodi di studio per progetti didattici e di ricerca a cui seguiva un attivismo propositivo per realizzarli. Allora con anima e corpo trascinava, convinceva, coinvolgeva. Con una capacità organizzativa, di conoscenza dei meccanismi istituzionali e anche burocratici dell'Università, unica, che era l'altra faccia della sua personalità creativa e artistica.
Questo doppio registro certamente è stato alla base di una iniziativa che ha dell'incredibile, in un contesto restio a innovazioni radicali e accademicamente arroccato. Probabilmente solo Seassaro poteva riuscire, per dedizione e capacità creativa, a coinvolgere molti settori disciplinari del Politecnico, del mondo professionale e produttivo.
Così nel 1993 ha preso avvio il Corso di Laurea in Disegno Industriale, poi il Dipartimento e la Facoltà, aprendo successivamente la strada a corsi di laurea in altre università. Ma questa è storia nota. Il mio breve ricordo vuole portare una personale conoscenza a dove e come tutto è partito.
Fabrizio Schiaffonati

Milano, 31 ottobre 2024
Tra gli interessi per la didattica e la ricerca un breve accenno a quelli coltivati alla Facoltà del Design: il design per i Beni Culturali e il Design della luce. 
Sul versante del Design per i Beni culturali ha attivato Laboratori di Tesi di Laurea Magistrale, ha contribuito all’istituzione del Dottorato interdipartimentale di Design e tecnologie per i beni culturali; ha fondato e coordinato l’Unità di Ricerca e Didattica DeCH (Design for cultural heritage), ha partecipato a progetti di ricerca e a numerose pubblicazioni sul ruolo del design per la valorizzazione dei Beni culturali. Di seguito alcuni estratti bibliografici scelti da Eleonora Lupo e Raffaella Trocchianesi.
«La celebrazione prende il posto della “memoria vigile”, e il monumento diventa lo strumento per ossificarla in un simbolo, per farla diventare da materia viva, materia morta, congelata in un solo aspetto, quello del gesto retorico. Il progetto quindi, se non ci salva, ci consola. E se non ci offre la vita eterna, ci stimola ma anche ci consente tecnologicamente con l’iper-realtà a-cronologica e immateriale di avere virtualmente tutto ma “per finta”. Di aggregare tutti i beni culturali in una infinita panoramica dove contemporaneamente ogni cosa di ogni tempo, esistente o immaginata, può essere colta nella finzione percettiva come nella fiction narrativa. Perché tutto è museabile e tutto è esibibile, allestibile e comunicabile in uno spettacolo mitologico totale».
Seassaro, A. 2013 Appunti per uno studio scientifico del design dei beni culturali, in Irace F. (a cura di) Design&Cultural Heritage. Immateriale Virtuale Interattivo, Electa, Milano, p.42
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«Il Politecnico di Milano si occupa da sempre di processi produttivi, mentre da relativamente poco tempo ha assunto la coscienza che l'infraordinario culturale può diventare depositario di valori e di valore, in dimensioni tali da permettere una visione di sistema produttivo vera e propria, fino a sviluppare la principale quota parte del PIL nazionale.  In questa matrice culturale ed esperenziale, al Politecnico di Milano, negli anni 90 si è formata la prima esperienza accademica articolata di ricerca e formazione per il design, da cui prende le mosse l'iniziativa di riflettere progettualmente intorno al bene culturale e ai procedimenti più appropriati per impostare una cultura nazionale dei metodi di valorizzazione dei beni culturalmente complessi».
​Seassaro A. “Per un contributo politecnico alla valorizzazione dei beni culturali”. In: F. Celaschi F., R. Trocchianesi (eds. by) Design & Beni culturali. La cultura del progetto nella valorizzazione dei beni culturali, Polidesign, Milano 2004
La cultura della luce costituisce la passione di una vita di studi, dove convergono l’estetica sperimentale, l’arte, l’interesse per il mondo delle forme e delle superfici, le ricerche sul pensiero mitologico, le conoscenze sul mondo dei simboli e delle metafore. La dimensione teorica viene finalizzata, sia nei Corsi tenuti alla Facoltà di Architettura sia nei Laboratori condotti alla Facoltà di Design, alla progettazione, approdando alle questioni tecniche del “progettare la luce” senza perdere lo spessore umanistico. 
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Suo è il primo Corso di perfezionamento in Progettazione illuminotecnica (1985), corso che diverrà, in seguito, Master in Progettazione e tecnologie della luce, da lui diretto fino al 2010. Suo è anche il progetto di Laboratorio strumentale di Luce&colore. 
Alberto Seassaro – Cultura della Luce di Claudio Conio
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Per Alberto la didattica era sovrana. Anche quando gli incarichi accademici hanno raggiunto l’apice della Facoltà, l’importanza della didattica non ha mai allontanato la sua presenza dagli studenti e neppure la malattia ha saputo ridurre le sue presenze in aula. Quando non poteva parlare usava gli occhi e le sue mani riempivano pagine di schizzi, ordinati, logici, pieni di correlazioni e quindi contorti, sovrapposti, una forma di scriptografica straordinaria, praticamente un “ossimoro grafico” dove coesistono molti percorsi di lettura, per certi aspetti affine al Codice Atlantico leonardesco, ma per fortuna scritto da sinistra a destra.
Tante discipline l’hanno visto nelle vesti di docente, ma una delle più amate è sicuramente la “Luce” o meglio la “Cultura della luce”, perché nel suo corso non si studiava solo un fenomeno fisico, ma si indagava la percezione estetica della luce. Dove il termine estetica andava interpretato nel suo significato più antico di fenomeno che stimola i sensi e, attraverso la percezione, la mente.
Lavorare con lui è stata un’esperienza straordinaria; uno dei momenti più creativi del corso erano le riunioni di preparazione che indiceva prima dell’inizio delle lezioni.
Spesso a casa sua, con focaccia genovese e dolcetti assortiti si discuteva per ore circondati da migliaia di libri e dalla sua collezione di centinaia di elefanti portafortuna. Ogni singolo dettaglio del corso doveva essere concertato: argomenti, tempi, esercitazioni, ruoli dei diversi ospiti, tutto era definito con precisione, Alberto è stato il “pignolo precisetti” più disordinato del mondo o forse più semplicemente era uno straordinario progettista e quindi amava sviluppare le idee fino al massimo livello di dettaglio possibile.
I concetti da diffondere sempre tantissimi, “troppi” e quindi le lezioni dovevano essere definite nei particolari e gli argomenti discussi approfonditamente durante la preparazione per poterli sintetizzare in modo da ottimizzare al massimo le tempistiche. Non era raro che la scansione degli argomenti fosse misurabile in minuti. Ho imparato di più in questi incontri che in tante lezioni accademiche.
Dotati di un copione così fortemente strutturato si andava in aula, e quando si spegnevano le luci, lui accendeva il microfono e incominciava la “sua” lezione. In quel momento accadeva una cosa meravigliosa, tutta la rigida struttura concepita veniva sciolta, deformata, polverizzata da un racconto armonioso pieno di riferimenti culturali, metafore, aneddoti, spunti di ricerca, citazioni, riferimenti, dettagli tecnici, sensazioni ed emozioni, si parlava di passato, futuro, filosofia, storia, geografia, biologia, arte, etimologia, ogni tanto persino di tecnologia (!), la “cultura della luce” era una esplosione di relazioni e di conoscenza.
Quando accendeva il microfono la scaletta non esisteva più, la sequenza delle slide e delle immagini veniva completamente stravolta, dimenticata, restava però la straordinaria capacità di raccontare e spiegare le interconnessioni tra i fenomeni luminosi, l’uomo e il suo ambiente. È sempre stato un relatore molto coinvolgente, ma quanto era difficile prendere appunti: i dettagli creavano le strategie e i legami tra i concetti erano una nuvola di correlazioni complesse nelle quali solo la sua mente riusciva a trovare il percorso logico dell’armonia.
Capito lo stile oratorio, cercai anche di preparare dei materiali che potessero essere usati con la più alta flessibilità possibile, per tentare di supportare l’esposizione con dei riferimenti visivi adeguati, ma era una battaglia persa, era impossibile prevedere che taglio avrebbe dato all’esposizione, anche con i salti mortali più audaci non era possibile trasformare i materiali didattici predisposti con la stessa velocità con la quale li evolveva il suo racconto.
Una volta gli chiesi di dirmi verso quali aspetti avrebbe voluto portare la lezione di quel giorno, speranzoso di potermi organizzare adeguatamente. Lui mi fissò un po’ pensieroso, un po’ divertito e disse “Ma io non lo so. Quando inizio una frase non so mica cosa dirò, il pensiero è stimolato e sviluppato da quello che vediamo, potrei affrontare un argomento oppure un altro semplicemente perché influenzato dall’espressione di un volto, dalla vista di un oggetto o di un colore o di un lampo di luce o di un’ombra presente nell’aula. Per sapere quello che dico, io devo ascoltarmi.”
In quel momento ho immaginato come dovesse essere il cervello di una persona capace di ragionare a questa velocità, ho visto milioni di cellule nervose collegate da miliardi di sinapsi luminose che si rincorrevano e si intrecciavano, era una supernova di luce variabile e colorata; se avessi potuto mostragli quello che la mia immaginazione aveva “visto” sono sicuro che lo avrebbe considerato un complimento.
Ho collaborato con lui per quasi 30 anni e sentito più di 300 sue lezioni, non ne ha mai fatte 2 uguali.
Anche gli esami erano speciali, sempre rigorosamente collegiali, tutti, studenti compresi naturalmente, dovevano sentire l’esposizione di tutti e commentare ed intervenire nel dibattito. Ogni progetto diventava una lectio magistralis tenuta dai candidati. Erano giornate campali, si iniziava alle 9 e si finiva alle 20, senza pause perché tutti dovevano avere un tempo congruo per esporre il proprio progetto. Alla fine, la proclamazione dei voti all’aula, era anticipata da una esposizione di tutti i progetti eseguiti dagli studenti, un momento sempre molto coinvolgente nonostante la semplice scenografia improvvisabile in aula.
Prima, però, c’era la seduta di valutazione. Aspettavo sempre questo momento, perché dopo aver “saziato la mente” finalmente si mangiava anche qualcosa, ma soprattutto perché, sempre, mentre mangiavo il panino, emergeva qualcosa di interessante che da solo non ero stato capace di cogliere. Alla valutazione erano invitate tutte le persone che avevano contribuito con le loro lezioni allo svolgersi del corso, ognuno formulava i suoi giudizi sul lavoro presentato dagli studenti e con atto democratico paritetico si arrivava alla sintesi del voto. Quasi sempre, davanti ad un progetto interessante e lodevole, Alberto si soffermava sui difetti, sugli errori e sulle parti non sviluppate dell’idea, mentre, se il lavoro era mediocre, aveva cura di valorizzare aspetti meritevoli, che spesso erano stati colti da lui, ma erano totalmente inconsapevoli ed ignorati dal candidato che aveva esposto il lavoro.
Ricordo che le prime volte, quando ero un giovane cultore della materia con ancora una mentalità da studente, ascoltavo con timore queste riflessioni, mi sembrava che il mondo andasse a rovescio, i lavori di qualità sminuiti e quelli scarsi valorizzati.
Quando però venivano formulati i voti, chi doveva prendere 30 prendeva 30 e chi meritava 18 prendeva 18.
I suoi commenti erano solo la testimonianza di una forma di pensiero illuminata (usiamo le parole della luce!), anche un ottimo progetto poteva essere migliorato e sviluppato ulteriormente, e sempre anche nelle realizzazioni meno riuscite c’è qualcosa di buono che potrebbe diventare eccellente se adeguatamente sfruttato.
Ed io imparavo qualcosa. Questa era la forza di Alberto, non faceva l’errore di abbassarsi al tuo livello, semplicemente perchè era capace di innalzarti al suo, vicino a lui diventavi intelligente.
Forse proprio per questo amava tanto la didattica, sapeva imparare anche da chi ne sapeva meno e quindi per un cervello curioso e vivace quale il suo entrare in aula non voleva dire avere 50 studenti davanti, ma 50 maestri che potevano accendere una luce.
Claudio Conio

Milano, 2 Novembre 2024
I caleidoscopi di Alberto di Paolo Tinelli
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Proviamo! Proviamo a raccontare l'oggetto in cui sono racchiusi oltre trent'anni di lavoro e di amicizia con Alberto Seassaro. 
Non c’è amicizia se non si ricorda quel qualcosa da cui è partita, quello che uno ha combinato per innescarla. 
E Alberto ne ha combinata una davvero grande! Verso la fine degli anni Ottanta è stata quella di creare il Seminario di Cultura e Progetto della Luce nella Cattedra di “Tecnica ed Economia della Produzione Edilizia”.  
Perché, se nel 1987, Zanuso e Castiglioni avevano moltissimi studenti ai loro Corsi, questo lo era per la loro fama mentre Alberto annegò, non solo nel termine letterale della parola ma proprio fisico, in un numero incalcolabile di iscritti proprio per le lezioni dedicate alla Luce.  
La locandina in cui veniva presentato il “Seminario" era illustrata con il disegno, tratto da "Gli oggetti impossibili", della “lampadina Edison con dentro la candela accesa”. Questo era già fuori dagli schemi didattici normali e il giorno della presentazione richiamò un numero enorme di studenti. 
Con piglio tra l’ironico e l'autorevole presentò il percorso didattico e le due esercitazioni. La prima, quella della realizzazione di un caleidoscopio, sarebbe servita come selezione per accedere alla seconda esercitazione, quella del progetto e realizzazione di un evento luminoso nello spazio e nel tempo. La sua speranza era di sfoltire un bel numero di iscritti nei due mesi di tempo tra lezioni e revisioni, rimandando i non selezionati ad un esame bibliografico. 
Invece quello che doveva essere un difficile compito per avere un limitato gruppo di persone presenti, fu proprio l'opposto. Tutti consegnarono il loro caleidoscopio in un caos pazzesco! Nessuno fu scartato. Un successo straordinario, una soddisfazione grandissima che Alberto ben assaporò. E che divenne uno dei Corsi più iconici del Corso di Laurea in Disegno Industriale di Architettura. Un percorso didattico straordinario dal 1987 e mai troppo modificato nell'essenza dei contenuti. 
Di fatto il caleidoscopio sorprese fin da subito! Il grande sconcerto nel vedere un “giocattolo” fu superato quando Alberto lo presentò come macchina per manipolare la luce. Non una macchina per produrre luce ma per modellarla. Una cosa mai sentita prima... 
Il Caleidoscopio è stato un oggetto "astratto". Non era una sedia, non una lampada, nemmeno una bicicletta su cui fare ricerca e sperimentazione.  
Un oggetto però straordinario per la didattica del design capace di spaziare tra molteplici argomenti e di dare, se ben compreso, notevoli aperture mentali. Un "oggettino" tanto semplice quanto complesso che permetteva immediatamente di far emergere l'anima e la personalità di chi lo stava progettando.  
Il sistema design nei documenti istituzionali: la storia di un tenace costruttore
La nascita del Sistema Design al Politecnico di Milano e negli atenei italiani è il progetto più noto di Alberto Seassaro. E anche il più celebrato. Una selezione di scritti punteggia, qui, alcuni passaggi di questa storia. L’aneddotica indulgerebbe verso toni epici. Viceversa, documenti istituzionali, verbali e comunicazioni di lavoro lasciano intravvedere, in filigrana, la trama complessa di una visione e le fatiche del quotidiano. Si ritrova nei suoi documenti il suo impegno istituzionale, la sua indole indomita, la sua vivace ironia. 
Disegno di Andrea Branzi
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«Alberto Seassaro è stato un raro esempio di docente che sapeva interpretare con grande lucidità il patrimonio della cultura universitaria, senza diventare un barone, ma possedendo una visione della politica universitaria come un vero Rettore senza essere Magnifico, e come un grande giocatore di solitari che riesce sempre a chiudere la partita».
Andrea Branzi, INTERNI, novembre 2020, p.80
L’inizio di una lunga storia: il Corso di Laurea in Disegno industriale 
Il Corso di Laurea in Disegno industriale viene attivato nell’AA 1993-94. Una Commissione consigliare, presieduta da Alberto Seassaro, sovraintende alle necessarie attività di organizzazione della didattica. L’ultima seduta di questa Commissione, il 16 febbraio 1995, si chiude con la definizione del calendario per la costituzione degli Organi del nuovo Corso di laurea in Disegno industriale e per l’elezione del Presidente di Corso di laurea. 
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Ideare il progetto culturale: la Facoltà del Design del Politecnico di Milano
Il Corso di Laurea si articola, da subito, in Indirizzi che diventeranno a loro volta Corsi di laurea. Di lì a breve la prima Facoltà di Design in Italia con un progetto didattico innovativo che ibrida le discipline ingegneristiche e le culture del progetto di matrice architettonica alimentate dalle sensibilità dei saperi umanistici. Una Facoltà dedicata alla formazione di progettisti in grado di gestire la complessità dell’ambiente contemporaneo e di anticiparne gli sviluppi.  
Un progetto Politecnico di Alberto Cigada
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Alberto Seassaro, il Sea, aveva un progetto molto chiaro in testa, che ha portato avanti come un rullo compressore: creare una Scuola del Design fortemente politecnica, coinvolgendo fin dall’inizio docenti di materiali, di meccanica, di gestionale e via così; diceva che avrebbe voluto coinvolgere tutti i Dipartimenti del Politecnico.
Questa visione “Politecnica” è un merito storico indiscusso che gli deve essere riconosciuto, anche perché ha contribuito a rompere una separazione storica, che fino ad allora al Politecnico è sempre stata presente. Esempio didascalico è la nascita della Laurea Magistrale in Design & Engineering, primo vero esempio di una laurea fortemente politecnica interdisciplinare.
Personalmente sono stato coinvolto nel progetto come “area materiali” a partire dal ’94, per poi essere chiamato nel ’97 nella allora Facoltà di Architettura e aver partecipato fin dall’inizio prima alla nascita del Corso di Laurea in Disegno Industriale e poi della Facoltà/Scuola del Design. Ho potuto pertanto conoscerlo molto bene.
Il Sea tutto accentrava e tutto voleva controllare, ma nel perseguire il suo progetto ha sempre avuto la lungimiranza di lasciare spazio alle componenti “ingegneristiche”, i cui spazi ha sempre concesso e a volta anche “difeso”. Così per lo meno è stato per i “materiali”.
Da sempre ha in cambio chiesto con forza e perseguito non solo un coinvolgimento didattico da “esterno”, ma la nascita di attività di ricerca specifiche e di competenze miste ingegneria-design. Da subito ha favorito la nascita della “Materioteca”, oggi confluita nel Sistema Bibliotecario di Ateneo e ha dato spazio alla nascita di un laboratorio materiali all’interno del Campus Durando.
Tutti quelli che lo hanno conosciuto sanno come fosse difficile discutere con lui. Il suo progetto veniva prima di tutto e per perseguirlo non si fermava davanti a nulla. Con lui ho bevuto piacevolmente vari Negroni al bar La Rossa al termine di lunghe giornate di pugni sul tavolo. Alla fine però un accordo lo abbiamo sempre trovato.
Non gli posso che essere riconoscente e lo ricordo con grande affetto. Resterà nella storia del Politecnico.
Alberto Cigada
Milano, 24.11.2024
1997-98
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1999
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2000
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2006-07
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Assicurare le condizioni materiali di sopravvivenza. Ovvero, la costruzione della casa. 
Il bellissimo Campus Durando, le aule didattiche, le aule informatizzate, i laboratori strumentali, la Biblioteca, le strutture pensate e progettate alla scala adeguata ad una Facoltà di massa, costituiscono un unicum nel panorama delle Scuole di Design europee. Ogni singolo passo, dall’ottenere gli attaccapanni nelle aule, al conquistare gli spazi per la didattica,  è stato oggetto di rivendicazioni, ha richiesto capacità di mediazione e dedizione al progetto.
Doveroso ricordare, tra i tanti colleghi che, nella loro veste istituzionale, hanno contribuito a questo miracolo,  Cristina Treu – Prorettrice; Attilio Costa – Presidente Centro Informatico di Ateneo; Adriana Baglioni – Pro-rettrice; Vittorio Luise – responsabile della logistica. E ovviamente Adriano De Maio e Giulio Ballio, Rettori del Politecnico di Milano che, pur contenendo la verve progettuale di Alberto Seassaro, lo hanno assecondato per arrivare al Sistema Design così come è oggi. 
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L’irresistibile creatività di Alberto di Maria Cristina Treu
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Il ricordo che ho di Alberto risale ai primi anni dopo la mia laurea quando negli anni ‘70 e ‘80 due gruppi di “docenti subalterni “si scambiavano ruvide gentilezze prima di concordare le proprie posizioni da portare nello scarno Consiglio di Facoltà di allora. Già da quegli anni Alberto era inesauribile nel preparare coloratissimi quadri sinottici con cui illustrava, nel corso di interminabili riunioni, la sperimentazione di nuovi ordinamenti didattici e di nuovi percorsi di studio, cercando in ogni occasione di convincere tutti i presenti. Anni dopo rividi la stessa forza anticipatrice accompagnare le proposte, le relazioni e i preventivi di quello che avrebbe potuto essere il percorso di studi in disegno industriale.  
Erano i primi anni ’90, quando la prima e unica Facoltà di Architettura riuscì a deliberare, in un affollatissimo e combattuto Consiglio di Facoltà, la sua articolazione in una seconda Facoltà di Architettura civile e nella Terza Facoltà di disegno industriale che avrebbero dovuto trovare il loro spazio in Bovisa, un’area facilmente raggiungibile da due stazioni ferroviarie e che poi sarà collegata in solo 20 minuti con la sede di Piazza Leonardo dal tanto atteso Passante Ferroviario.  
Eppure, la prospettiva del trasferimento in Bovisa, non trovò un gradimento così scontato: inizialmente, in Ateneo, ci fu l’opposizione delle facoltà delle Ingegnerie industriali. Gli indugi furono rotti dalla prof.ssa Amalia Finzi con il trasferimento in via La Masa del dipartimento di Aerospaziale, di cui era Direttrice; in seguito, ci fu l’inaugurazione della Galleria del vento, il trasferimento del dipartimento e delle aule laboratorio di Ingegneria Meccanica e di Energetica. Nel frattempo, la crisi sempre più grave della disponibilità di spazi per i corsi della Facoltà di Architettura nella sede di Piazza Leonardo, impose l’anticipazione di qualche corso prima in via La Masa e poi il trasferimento, nella sede di Via Durando, di alcuni laboratori didattici della prima Facoltà di Architettura cui seguì quello dell’intera Facoltà di Architettura Civile, con le aule, la presidenza e il dipartimento di Composizione Architettonica. 
Fu l’avvio di una occupazione graduale degli spazi disponibili contestuale alla programmazione del numero degli studenti iscritti alle tre diverse facoltà e della rispettiva forza docente: un processo vissuto da Alberto come una concorrenza avversa alla Facoltà di Disegno industriale che mancava ancora di tutto. 
Fu in questo contesto che Alberto, investito del ruolo di formare la nuova Facoltà fin da quel combattuto Consiglio, espresse la sua passione, la sua creatività e tutto se stesso in un progetto per il quale tutto era agli inizi, dal percorso di studi al dimensionamento del numero degli studenti e dei docenti. Per alcuni insegnamenti ci fu l’adesione da parte di professionisti del mondo del design e quella di alcuni colleghi di Ingegneria, anche se non sempre così convinta da entrambe le parti. Ma furono soprattutto, i laboratori che richiesero un grande impegno e che si riveleranno la carta vincente dell’intero progetto: i laboratori furono infatti il collante che impose a docenti e studenti di misurarsi con il saper fare innovazione e con l’uso di nuovi materiali proveniente dalla tradizione della nostra produzione artigianale e industriale. Alla fine degli anni 90, l’istituzione della facoltà di Disegno Industriale viene completata anche con l’istituzione del Consorzio Poli Design che avvia le relazioni con l’intero mondo delle imprese del settore e che negli anni 2000 porterà la Facoltà in Cina con il Polo Universitario di Design a Xi’an.  
Fu così che Alberto, con la sua irresistibile creatività e con la sua costante presenza nei tanti incontri e nei momenti di confronto a cui spesso partecipava anche Flaviano Celaschi, vinse contro ogni avversità: perché, come un tempo si diceva, l’aquilone si leva sempre più in alto, più il vento spira al contrario. 
Maria Cristina Treu
Milano, 28 Ottobre 2024
Dar forma alla comunità del Design Italiano 
Il design, come dominio disciplinare con le sue infrastrutture didattiche e di ricerca, si fa strada pian piano nel mondo universitario, affrancandosi progressivamente dal settore della Tecnologia dell’architettura da cui nasce. Alberto Seassaro, che intuisce subito l’importanza vitale di tenere unite le diverse realtà del Design che sorgono nell’arco di meno di un decennio in molti Atenei italiani, costruisce Associazioni di ricerca e di coordinamento per la didattica. È la nascita del Sistema Design Italia (SDI).  
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Aprirsi all’esterno 
Mostre, eventi, lezioni e seminari fuori dalle aule universitarie; progetti condivisi con il mondo istituzionale e imprenditoriale, sono stati il collante capace di tessere relazioni con il contesto urbano, sociale ed economico-produttivo. La grande permeabilità tra interno ed esterno di conoscenze, competenze e saperi è frutto di molte innovazioni che partono dalla didattica.
È sul fronte della didattica infatti che nascono il forte coinvolgimento del mondo industriale e professionale; le esperienze di tirocinio che portano un numero elevato di studenti a contaminare le pratiche di organizzazioni istituzionali e di imprese produttive. La fondazione del Consorzio Polidesign a cui viene affidato il compito di creare connessioni tra l’Università e il mondo delle imprese fa da collante ai rapporti tra interno e esterno. 
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Un ricordo di Alberto Seassaro di Flaviano Celaschi
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Pensare sistemicamente significa interessarsi al rapporto che c’è tra gli elementi, alla loro evoluzione, alle connessioni (probabili e o improbabili che possano essere); significa passare dalla categoria del colpevole/responsabile alla logica delle condizioni che hanno facilitato un accadimento. 
Paola Pirri e Massimiliano Di Bacco “Il pensiero sistemico: un approccio alla complessità”. 
La capacità di pensare per sistemi interconnessi è più cruciale che mai per lavorare sul tema della sostenibilità. Il pensiero sistemico ci aiuta a capire la complessità di un problema senza semplificazioni, prendendo in considerazione in che modo i diversi elementi si influenzano a vicenda.  Pensare per sistemi implica imparare a leggere la realtà e i problemi ambientali, economici e sociali tipici della sostenibilità attraverso le relazioni, riconoscendo le connessioni e i feedback che creano i processi e i fenomeni intorno a noi. Applicare il pensiero sistemico aiuta a vedere la realtà in parti comunicanti e ad aumentare la consapevolezza delle conseguenze che le nostre azioni hanno nel breve e nel lungo periodo. 
https://www.creda.it/pensiero-sistemico/#:~:text=Pensare%20sistemicamente%20significa%20interessarsi%20al,che%20hanno%20facilitato%20un%20accadimento. 
Ho molto odiato il pensiero sistemico di Alberto Seassaro prima di comprenderlo e di tentare di emularlo. La prima apparizione di questo approccio mi travolse nel 1989, fresco di Laurea, ricevo una telefonata da Ida Faré, mia relatrice di tesi, che mi chiede di aiutare il prof. Seassaro che è in ospedale a portare avanti e terminare una ricerca e una mostra sull’abitabilità dei sottotetti a Milano. Mi reco al Niguarda immaginando di trovare un infermo ischemico balbettante e vengo travolto da un bell’uomo baffuto in pigiama e da una valanga di pensieri, parole, opere, missioni, intenzioni, desideri, volontà, delle quali comprendo il 10%. In confronto il “da cosa nasce cosa” di munariana memoria è uno scherzetto infantile. Mi metto religiosamente al lavoro. Il nostro modo di lavorare insieme è spesso stato caratterizzato da questi periodici momenti di trasfusione torrenziale nei quali, rubata un po’ di quiete a giornate di pazzeschi ritmi tra riunioni e grane quotidiane da rincorrere, ci si trovava da Luison vicino alla Metro di Piola o al Matricola e, nonostante alcuni decongestionanti Negroni o qualche birretta, il ritmo degli appunti non riusciva mai a tenere conto del tutto. Perché non c’era mai un tutto, c’era un filo che veniva tirato ed appresso scorrevano decine di connessioni e intrecci e intorno a questi intrecci nasceva un cluster di concetti che dovevano essere annodati e poi accordati, trame ed orditi quasi mai cartesiani, fogli A3 che non erano mai sufficienti, e continuavano sui fogli di carta da macellaio che si usavano come tovagliette nelle pizzerie fino a sbordare dal piano del tavolo che non era mai sufficiente. E Alberto, mai sazio, sollevava la testa dal fiero schema per rattristirsi subitamente del non riuscire a trasferirmi quel sesto o settimo livello di ragionamento che si era formato proprio grazie al ragionamento fatto nei primi cinque livelli. Al calare delle mie palpebre non osavo interromperlo, perché come diceva lui “il pensiero mi nasce in bocca” ed era solo esternandomi i concetti che ribollivano nella sua mente che riusciva a prenderne coscienza e rimaneggiarli, smontarli, disossarli per poi rivestirli, connetterli e sistematizzarli. Quando le mie energie mi permettevano di tentare di confinare la missione che mi stava proponendo riducendola solo ai primi cinque livelli pregandolo di soprassedere agli altri sette che stavano nascendo, Alberto mi diceva: “Capisco quel che intendi, anche mio padre mi diceva spesso: Alberto ricordati che il meglio è nemico del bene!”. 
Nelle carte di una vita ho ritrovato due di questi episodi che avevo rimosso. L’epopea della FIN.CO. quando Alberto all’alba degli anni ’90 si era tuffato nell’Industria per le Costruzioni, alba del design degli anni successivi, dove tentava di fare emergere la complessa ed inconsapevole filiera dei sistemi e dei componenti industriali per il settore delle costruzioni. Per lui era il contesto indispensabile per dimostrare l’autorevolezza del Design del componente edilizio del quale ci occupavano ad Architettura nell’Indirizzo tecnologico dei suoi insegnamenti di quel tempo. Ne emerse un colossale appuntamento annuale che proseguì per qualche anno nel quale tutto, ma proprio tutto, il sistema dell’industria delle costruzioni lo seguiva come un pifferaio magico. 
Qualche anno più tardi un altro documento testimonia l’approccio sistemico seassariano. Siamo nel periodo nel quale ci stiamo ponendo il problema di anticipare la situazione nella quale i primi 500 studenti laureati in design sarebbero arrivati al mercato del lavoro. Come prevenire e progettare questo impatto in un mercato del lavoro che stava cambiando radicalmente anche grazie al pacchetto legislativo Treu che studiavamo con attenzione. Come organizzare un processo in grado accompagnare 500 studenti alla volta a fare un tirocinio professionale o aziendale degno e utile e come da questo ricavare un sistema di relazioni indispensabile a generare una coscienza di classe produttiva inedita sulla scena milanese, allora rappresentata da poche decine di accoliti architetti/designer rigorosamente ambrosiani iscritti all’ADI? Ne emerse il progetto del RAP, servizio Rapporti con le professioni che insieme a Paola Bertola progettammo e costruimmo, un simposio sui temi del lavoro per il design “Design & Mercato del lavoro”, decine di convenzioni quadro con tantissime associazioni confindustriali, associazioni professionali, imprese di lavoro interinale, etc. creando un sistema che gettò le basi alla nascita nel 1999 di POLI.Design, ponte tra università e mercato con tutte le associazioni professionali a bordo e la capacità di trasformare la ricerca applicata ed il progetto in valore di scambio. 
 
Flaviano Celaschi 
19 ottobre 2024 
Un ricordo di Alberto Seassaro di Luisa Collina
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 Gli incontri importanti della vita a volte sono frutto di coincidenze. 
Il 1993 rappresenta l’anno della mia personale “sliding door” al Politecnico di Milano. 
Nell’aprile 1993 mi laureo con una tesi a cavallo tra l’architettura e il design, combinando in modo un po’ rocambolesco due relatori che poco avevano in comune, Tomás Maldonado ed Emilio Battisti (un chiaro indizio della mia incapacità di scegliere in modo netto la mia strada futura). 
Nell’ottobre 1993 prende avvio il primo anno del Corso di Laurea in Design all’interno della Facoltà di Architettura. Contemporaneamente inizio a svolgere con passione ed apprensione il mio ruolo di “cultrice della materia” nei corsi di Cultura tecnologica della progettazione e del Laboratorio di Costruzioni tenuti da Antonio Scoccimarro nel Corso di Laurea di Architettura nella stessa Facoltà. Pochi mesi dopo inizio il percorso di Dottorato di Ricerca. Come dottoranda incremento la mia presenza negli angusti e sovraffollati spazi del Dipartimento che allora si chiamava PPPE (acronimo impronunciabile che stava per Programmazione Progettazione e Produzione Edilia) per poi mutare nome in DiTec (Disegno Industriale e Tecnologia dell’Architettura), proprio per dare visibilità all’area del design che stava assumendo un ruolo sempre più importante all’interno dell’Ateneo. 
È in quegli spazi, tra corridoi stretti per la presenza di scaffali pieni di faldoni, uffici amministrativi congestionati, diretti con “piglio” dall’allora responsabile amministrativa Catia Carciofi (che si presentava guidando una Jaguar e ci intratteneva abitualmente sulla propria vita personale) e fotocopiatrici sempre in uso, che il mio percorso si interseca con quello di Alberto Seassaro, che in quegli spazi praticamente viveva 7 giorni su 7, quasi 24 ore su 24. La sua stanza si era trasformata nel centro operativo del neonato Corso di Laurea: luogo vibrante di riunioni, discussioni, di elaborazioni di documenti, schemi e strategie per il futuro. 
Io guardavo l’avvio di questa grande e ambiziosa avventura da “vicina di casa”, abitante “due porte dopo” la stanza di Alberto, ancora ignara della sua straordinaria forza e del suo intento di fare progressivamente crescere il design al Politecnico in modo sempre più ampio, robusto ed articolato. 
Qualche anno dopo, il “centro operativo” conquista la stanza successiva e a conclusione del mio dottorato anch’io mil lascio coinvolgere dalla forza e dall’energia del progetto. Anche la “terza stanza” era stata conquistata! 
Alberto aveva saputo dei miei 15 anni trascorsi alla scuola tedesca di Milano, per cui ha subito deciso che dovevo occuparmi delle relazioni internazionali del neonato corso di laurea. In questo ambito bisognava costruire tutto da zero, dalla rete estesa degli scambi per gli studenti (per affrancarsi dal CRIFA di Architettura diretto Maurizio Vogliazzo e gestito da Angiola Neri) alle collaborazioni accademiche con le principali sedi universitarie del mondo. Nasce così il Relé (copyright di Flaviano Celaschi), Ufficio Relazioni Esterne e Internazionali, che ho seguito con entusiasmo per 16 anni insieme a molte persone, tra cui Anne Schoonbrodt, Francesca Andrich, Carolina Cruz, Valentina Auricchio, Davide Fassi (limitandomi a richiamare coloro che ancora oggi sono al Politecnico). 
Alberto non parlava inglese e per questo si sottraeva all’incontro con le numerose delegazioni in visita al nostro campus, ma la non dimestichezza linguistica non gli impediva di delineare ampi scenari e strategie ambiziose a scala internazionale per il sistema design del Politecnico che si stava configurando. 
Dalla sua capacità di visione e dall’operatività del Relé hanno preso vita convegni come Designing Designers, reti come MEDes e GIDE, procedure di scambi studenti a scala sia europea che extra-europea, fino all’attivazione nell’a.a. 2005/2006 del Corso di Laurea Magistrale in Design del Sistema Prodotto e Servizio (PSSD), primo percorso magistrale in design offerto in lingua inglese in Italia. Dopo la mia prima partecipazione a un convegno dell’associazione internazionale Cumulus, una volta ritornata a Milano mi confronto con Alberto sull’opportunità di aderire formalmente al network. Ricordo con chiarezza le sue parole: “se entriamo in Cumulus lo facciamo con l’intento di assumerne la leadership”. Questo era Alberto, concentrato sull’oggi, ma anche sempre proiettato verso il futuro, con un approccio lungimirante, ambizioso e sfidante. Io ero rimasta un po’ disorientata dalle sue parole, parole che mi sono tornate nitidamente in mente quando nel 2013 sono stata eletta Presidente di Cumulus, concretizzando un’idea che Alberto aveva avuto in modo nitido più di 10 anni prima. 
Sempre i miei studi in ambiente germanico avevano, probabilmente, indirizzato Alberto nel scegliere la sottoscritta come proprio braccio operativo per quanto riguardava l’elaborazione dei regolamenti. Si può solo immaginare la mia gioia nell’essere stata scelta per questo ruolo. 
Tra i diversi regolamenti redatti (alcuni di questi scritti anche in notturna per onorare le scadenze sempre imminenti), ricordo quello del neonato Dipartimento INDACO e delle “UdRD”, impronunciabili Unità di Ricerca e Didattica che costituivano i moduli base del Dipartimento. Con Alberto ho capito quanta creatività e visione progettuale si nascondono dietro degli articoli, brevi testi che non si limitavano a sintetizzare regole e vincoli, ma condensavano principi in grado di anticipare o smussare conflitti e di incentivare comportamenti virtuosi. Coerentemente all’approccio “per sistemi e componenti”, tipico dei tecnologi dell’architettura, Alberto tratteggiava su fogli A3 i singoli elementi (le UdRD, la Giunta, la Commissione scientifica, il Consiglio, il Direttore….), metteva in evidenza i diversi ruoli, i pesi e le modalità di funzionamento, per poi progressivamente schematizzare le relazioni che intercorrevano tra i diversi organi e delineare con grande ricchezza di dettagli l’intero sistema di governance. Il quadro si arricchiva progressivamente alimentato dall’approccio “what if”: Alberto prefigurava i diversi casi che potevano emergere, valutava le relative conseguenze e ideava le possibili misure di mitigazione. 
Questi esercizi di ingegneria istituzione erano intervallati da molte divagazioni di varia natura: racconti di viaggio straordinari, esperienze improbabili, aneddoti, canzoni di Lucio Battisti e molto altro. 
Schemi su schemi sempre più complessi e dettagliati comparivano sulla sua scrivania e davano evidenza di un pensiero sempre in movimento, attivo e impegnato a creare, costruire, rafforzare, difendere un sistema allora ancora in divenire, bisognoso di struttura, ma anche di cura e di protezione. 
La costruzione del sistema design del Politecnico di Milano, delle sue componenti e relazioni è stato il capolavoro della vita accademica di Alberto Seassaro, che lo ha impegnato in modo infaticabile e totalizzante per più di trent’anni. A lui va la profonda gratitudine da parte di tutta la nostra comunità. 
 
Luisa Collina detta Lollo 
14 novembre 2024 
Il completamento del Sistema Design: l’istituzione del Dipartimento In.D.A.Co
Si compie con la nascita del Dipartimento In.D.A.Co (Dipartimento di Industrial Design, Arti e Comunicazione) la lunga storia Politecnica di Alberto Seassaro costruttore di un sistema autonomo di didattica e ricerca dedicato al Design che compete oggi, a livello internazionale, con le più importanti realtà formative del Design. 
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Alberto Seassaro, appunti per la denominazione del Dipartimento In.D.A.Co
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10 anni di design
Il momento del bilancio e del rilancio
Conferenza di Produzione dei Corsi di Studio della Facoltà del Design
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Il saluto del Preside uscente al nuovo Rettore Giovanni Azzone
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Alberto Seassaro, Cesare Stevan, Antonio Scoccimarro: protagonisti della nascita del Design al Politecnico di Milano 
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ADI, Compasso d'oro alla carriera, Politecnico di Milano
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Conferimento del titolo di Professore Emerito ad Alberto Seassaro
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Una storia scritta da Alberto Seassaro con:
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Giovanni Azzone, Adriana Baglioni, Sebastiano Bagnara, Corrado Baldi, Giulio Ballio, Emilio Bartezzaghi, Luciano Baresi, Elisa Bassani, Pierluigi Bassani, Gian Luca Basso Peressut, Marco Beccali, Gabriella Belotti, Maresa Bertolo, Marisa Bertoldini, Massimiliano Bestetti, Gianfrancesco Biggioggero, Alessandro Biamonti, Mauro Biscardi, Mario Bisson, Enrica Bistagnino, Luigi Bistagnino, Cesare Blasi, Massimo Achille Bonfantini, Monica Bordegoni, Angelo Borroni, Giampiero Bosoni, Bianca Bottero, Maria Bottero, Pietro Boyl di Putifigare, Armando Brandolese, Andrea Branzi, Fausto Brevi, Francesca Brunella, Gianluca Brugnoli, Valeria Luisa Bucchetti, Tommaso Buganza, Federico Butera, Daniela Anna Calabi, Andrea Campioli, Maria Rita Canina, Alba Cappellieri, Stefano Capolongo, Elena Caratti, Michele Carboni, Francesco Caruso, Giandomenico Caruso, Marco Casamonti, Gaetano Cascini, Aldo Castellano, Eugenio Castelli, Cabirio Cautela, Nicolò Ceccarelli, Mauro Attilio Ceconello, Flaviano Celaschi, Manuela Celi, Claudio Chesa, Giuseppe Chigiotti, Roberto Chiesa, Alberto Cigada, Graziella Leyla Ciagà, Stefano Cinti Luciani, Paolo Ciuccarelli, Luisa Maria Virginia Collina, Chiara Colombi, Alberto Colorni, Giovanni Maria Conti, Alberto Coraluppi, Attilio Costa, Fiammetta Costa, Luciano Crespi, Raffaella Crespi, Umberto Cugini, Gian Paolo Cugola, Laura Daglio, Philippe Daverio, Piermaria Carlo Davoli, Almerico De Angelis, Valerio De Battista, Gabriele De Caprio, Michele De Lucchi, Luigi De Nardo, Roberto De Paolis, Claudia De Rose, Barbara Del Curto, Alessando Deserti, Massimiliano Di Bacco, Valerio Di Battista, Annalisa Dominoni, Lorenza Draghi, Finzi Ercoli, Emilio Faroldi, Ida Faré, Marco Fattore, Maria Rita Ferrari, Simone Ferrari, Marco Ferrara, Francesco Ferrise, Maurizio Figiani, Giuseppe Finessi, Alberto Fontana, Carlotta Fontana, Gianni Forcolini, Fabio Vittorio Fossati, Roberto Frassine, Gabriele Fumagalli, Marisa Galbiati, Marco Gaiani, Marco Garetti, Claudio Gasparini, Paolo Gasparoli, Silvio Gasparoni, Enzo Gentili, Mauro Ghezzoli, Carlo Ghezzi, Franco Giacomazzi, Paolo Giandebiaggi, Marco Giglio, Giulio Giorello, Elisabetta Ginelli, Giovanni Maria Gislon, Claudio Goglio, Francesca Golfetto, Luca Guerrini, Decio Guardigli, Francesco Ermanno Guida, Mario Guagliano, Gabriele Guidi, Maristella Gussoni, Valeria Maria Iannilli, Francesco Ingargiola, Fulvio Irace, Francesco Iovane, Lorenzo Jurina, Vincenzo La Scala, Paolo Landoni, Elisa La Scala, Corrado Levi, Marinella Levi, Giorgio Longoni, Claudio Luini, Eleonora Lupo, Marco Maiocchi, Anna Maier, Luca Mainetti, Roberto Maja, Elisa Maiocchi, Maurizio Maiocchi, Pietro Marani, Attilio Marcolli, Luca Marestotti, Paolo Marestotti, Giampiero Mastinu, Sergio Mattia, Marco Melacini, Elisabetta Merlo, Anna Meroni, Stefano Miccoli, Edie Miglio, Claudio Molinari, Sandro Morasca, Giovanni Moroni, Elena Germana Mussinelli, Pierluigi Nicolin, Luca Nobili, Giulio Ottolini, Stefania Palmieri, Marina Parente, Giovanni Pasca Raymondi, Andrea Pavan, Claudio Pavese, Antonio Pedotti, Antonella Penati, Gian Carlo Pepe, Alessandro Perego, G. Peretti, Marco Perona, Luisa Peverelli, Mario Piazza, Silvia Piardi, Giovanna Piccinno, Margherita Pillan, Marianella Pirzio Biroli Sclavi, Michele Platania, Claudio Podestà, Alberto Pizzati, Barbara Previtali, Maria Pronio, Marco Rasella, Lucia Rosa Elena Rampino, Andrea Ratti, Agnese Rebaglio, Dina Riccò, Francesca Ricci, Silvia Ricci, Marta Rink, Giacomo Rizzi, Roberto Rizzi, Marco Romano, Alfredo Ronchi, Maurizio Rossi, Michela Rossi, Claudio Roveda, Alberto Rovida, Claudio Rovida, Lucia Ruggerone, Giorgio Cesare Santambrogio, Fabrizio Schiaffonati, Antonio Scoccimarro, Giovanni Scudo, Alberto Seassaro, Carlo Signorelli, Giuliano Simonelli, Andrea Simoni, Elisabetta Simoni, Francesco Siliato, Marco Sini, Marco Somalvico, Giancarlo Storti Gaiani, Luca Tallini, Paolo Talso, Letizia Tanca, Marco Tagliasacchi, Enrico Talamona, Paolo Talamona, Cristina Tonelli, Oliviero Tronconi, Raffaella Trocchianesi, Marco Turinetto, Giovanni Utica, Andrias Van Onck, Carlo Vannicola, Nicola Ventura, Roberto Verganti, Paola Vidulli, Roberto Vigano', Claudia Viganò, Maurizio Vogliazzo, Paolo Gaetano Volontè, Elio Zamponi, Paolo Zanella, Salvatore Zingale, Gabriella Zuco, Francesco Zurlo.
Letizia Abbate, Marco Abbate, Maria Gabriella Ablondi, Paolo Accanti, Davide Affaticati, Maria Cristina Ajroldi, Alessandro Alessandri, Jose' Allard, Daniela Allodi, Isabella Amaduzzi, Laura Ammaturo, Laura Ammaturo, Stefano Anfossi, Davide Angheleddu, Silvana Annicchiarico, Laura Anselmi, Massimo Antinarelli, Andrea Aparo, Walter Aprile, Giuseppe Ardia, Mario Argeri, Stefano Arienti, Antonio Armillotta, Gianluigi Arnaldi, Alessandro Arosio, Venanzio Arquilla, Alberto Artioli, Antonietta Astori, Valentina Auricchio, Marco Ausano Introini, Marta Averna, Karim Azzabi, Mauro Bacchini, Helen Bachmann-Field, Laura Badalucco, Roberto Bagatti, Loretta Baiocchi, Claudia Baldi, Enrico Baleri, Luigi Bandini Buti, Simone Bandini Buti, Anna Barbara, Silvia Barberani, Fabrizio Barbero, Daniele Barbieri, Valentina Baroncini, Aristide Barone, Mirko Barone, Daniele Baroni, Federico Barraco, Antonio Barrese, Carlo Bartoli, Paolo Bartoli, Cristiana Bartolomei, Benedetta Barzini, Dimitri Basilico, Gisella Bassanini, Giovanni Baule, Leopoldo Bazzicalupo, Matteo Bazzicalupo, Gianfranco Bazzigaluppi, Daniele Bedini, Deborah Bella, Luigi Bellavita, Guido Belli, Francesco Bellini, Mario Bellini, Claudio Bellotti, Elisa Bellotti, Arturo Bellucci, Antonio Belluscio, Maddalena Beltrami, Luca Beltrami Gadola, Davide Beltramini, Markus Benesch, Antonino Benincasa, Francesco Bergonzi, Diego Bernardi, Giulio Bertagna, Franca Bertani, Paola Bertola, Chiara Bertolaja, Katia Bettin, Maria Chiara Bianchi, Alberto Bianda, Gian Francesco Biggioggero, Manuela Biondi, Fulvia Bleu, Tamara Bloch, Riccardo Blumer, Julia Blyth Binfield, Maria Pia Bobbioni, Gianluca Bocchi, Luisa Bocchietto, Paola Bocci, Claudio Boer, Cristina Boeri, Florian Boje, Marco Boldrini, Manuela Bonaiti, Tiziana Bonanni, Denise Bonapace, Lina Bonapace, Lina Bonapace, Marco Bonetto, Roberto Boni, Roberto Boni, Mario Bonomo, Guy Bonsiepe, Giovanna Borasi, Elena Bordoli, Davide Boriani, Marco Borsotti, Fabio Bortolani, Alessandra Bosco, Chiara Boselli, Gianpiero Bosoni, Federico Botta, Maurizia Botti, Cristiano Bottino, Aldo Bottoli, Andrea Braccaloni, Jessica Bramati, Paolo Brambilla, Carlo Branzaglia, Clare Brass, Richard Brault, Luigi Brenna, Paolo Brescia, Elena Brigi, Stefana Broadbent, Andrea Brogi, Maria Francesca Brunella, Federico Brunetti, Armando Bruno, Davide Bruno, Ampelio Bucci, Laura Buddensieg, Guido Buganza, Luca Bugliesi, Carlo Bulfoni, Gabriele Buratti, Michael Burke, Luca Buttafava, Luca Buttafava, Alessandra Butte' Litta, Dario Buzzini, Giovanni Caffio, Antonio Calbi, Giorgio Calderaro, Giacomo Callo, Luigia Calvi, Pietro Camardella, Andrea Cammarata, Barbara Camocini, Mara Campana, Alberto Alessandro Campolunghi, Alberto Campolunghi, Maria Canella, Roberto Canevari, Mariarita Canina, Enrico Cano, Maria Vittoria Capitanucci, Piero Capodieci, Michele Capuani, Manuel Cardenas, Mauro Carichini, Fulvio Carmagnola, Elio Carmi, Stefania Casacci, Filippo Casale, Barbara Casati, Paolo Casati, Leonardo Cascitelli, Alessandro Casinovi, Mario Castagna, Giacomo Castellano, Paolo Castelli, Achille Castiglioni, Piero Castiglioni, Gianluca Cattoli, Emanuela Cavalca, Francesco Cavalli, Maurizio Cavezzali, Giulio Ceppi, Anxo Cereijo Roibas, Jacqueline Ceresoli, Giovanni Cesareo, Matteo Chevallard, Moh Jin Chew, Giovanni Chiaramonte, Maria Vittoria Chierici, Vittoria Chierici, Andrea Chiodi, Aldo Cibic, Luigi Ciccognani, Stefano Cinti, Simone Ciotola, Carla Cipolla, Erik Ciravegna, Pierluigi Cirrottola, Antonio Citterio, Marcello Cividini, Franco Clivio, James Clough, Maria Cristina Codecasa, Annabella Coiro, Andrea Colcuc, Cynthia Coleman, Cynthiaellen Coleman, Margherita Colleoni, Aldo Colonetti, Maria Gabriella Comelli, Claudio Comi, Marta Conconi, Marta Conconi, Claudio Conio, Claudio Conio, Luciano Consolati, Giovanni Conte, Emiliano Conti, Giovanni Conti, Tommaso Cora', Daniele Cordero Di Montezemolo, Paolo Cornalba, Angelo Cortesi, Angelo Cortesi, Sara Cortesi, Luca Cosmai, Michelangelo Coviello, Paolo Crescenti, Mario Cresci, Ermanno Cressoni, Adriano Crippa, Davide Crippa, Corrado Crisciani, Corrado Crisciani, Vincenzo Cristallo, Silvano Custoza, Giovanni Cutolo, Fausto Cutuli, Toni D’Andrea, Donato D’Urbino, Vincenzo D'Abbraccio, Roberto Dadda, Giorgio Dal Fabbro, Sergio Dall'Orto, Albino D'Amato, Mario D'Andrea, Toni D'Andrea, Antonio Davanzo, Peter Davis, Marco Daz, Luca Dazzan, Luigi De Aloisio, Benedetta De Bartolomeis, Rodolfo De Bernardi, Carlotta De Bevilacqua, Manolo De Giorgi, Angela De Marco, Marina De Meo, Orio De Paoli, Silvio De Ponte, Walter De Silvia, Gabriele De Vecchi, Pietrina Deidda, Arturo Dell'Acqua Bellavitis, Raffaello Dell'Agata, Claudio Dell'Era, Andrea Giuseppe Derosa, Alessandro Deserti, Anna Maria Detheridge, Massimo Deutsch, Carmelo Di Bartolo, Valentina Di Francesco, Fabio Di Liberto, Giuseppe Di Paolo, Ernesto Di Pietro, Maurizio Di Puolo, Elena Di Raddo, Maurizio Di Robilant, Peter Di Sabatino, Chiara Diana, Francesco Dondina, Dante Donegani, Dante Donegani, Gillo Dorfles, Cristina Dosio, Federica Doveil, Eugenia Dubini, Valentina Durante, Alba D'Urbano, Massimo Duroni, Sylvie Duvernoy, Alain Elkann, Chiara Este Bersanelli, Diana Eugeni, Cecilia Fabiani, Cristina Fallica, Ferdinando Fanchiotti, Marco Fantoni, Davide Fassi, Franca Fava, Ignazia Favata, Cristina Favini, Laura Fedriga, Maria Teresa Feraboli, Alessandro Ferrari, Emilio Ferrari, Paolo Ferrari, Silvia Ferraris, Silvia Ferraris, Marco Ferreri, Giordana Ferri, Lisa Feuerherm, Luca Fiammenghi, Emanuele Fiano, Massimo Ficagna, Bruce Fifield, Luigi Filetici, Michela Finaurini, Eleonora Fiorani, Odoardo Fioravanti, Luca Fois, Mario Fontana, Monica Fonteleos Sanchez, Carlo Forcolini, Elena Formia, Ada Francesca Fornerone, Barbara Forni, Stephane Fournier, Marcello Francone, Neil Frankel, Neil Frankel, Gian Luca Frigerio, Gianfranco Frontini, Angelo Fronzoni, Giangiorgio Fuga, Alessandro Fumagalli, Paolo Fumagalli, Elena Fusar Poli, Valentino Fusetti, Gioia Gabellieri Bargagli, Lorenzo Gaetani, Luca Gafforio, Isabella Gagliardi, Raffaele Gagliardi, Marcello Galbiati, Maria Luisa Galbiati, Chiara Galeazzi, Daniele Galiffa, Antonio Galli, Christian Galli, Francesco Galli, Dalia Gallico, Daria Gallico, Emmanuel Gallina, Emmanuel Gallina, Laura Galloni, Enrico Gamberini, Augusto Garau, Isabella Garlati, Gianandrea Garola, Alberto Garutti, Franca Garzotto, Martino Gasparini, Riccardo Gatti, Andrès Carlos Gavazzi, Andres Gavazzi, Bruno Gecchelin, Moreno Gentili, Rina Gerbelle, Gabriele Geronzi, Giulia Gerosa, Mattia Ghezzi, Roberto Ghibaudo, Roberto Ghislandi, Giovanni Giacobone, Chiarangela Giannelli Buss, Antonella Giardina, Giovanni Gigante, Anna Gili, Roberto Giolito, Stefano Giovannoni, Silvia Girardi, Ernesto Gismondi, Federico Giua, Giorgetto Giugiaro, Elena Giunta, Sergio Giusti, Leonardo Giusto, Maurizio Gnot, Katia Goldoni, Stefano Govi, Cristoph Grafe, Andrea Grasselli, Davide Groppi, Ian Grout, Adele Grumelli, Gianluca Guarini, Carlo Guenzi, Alessandro Guerriero, Luigi Gusmini, Nicolas Gyömörey, Massimo Hachen, Makio Hasuike, Naomi Hasuike, Armando Honegger, Isao Hosoe, Roberto Hoz, Leif Huff, Margaret Husmann, Giulio Iacchetti, Angelo Aldo Felice Ielmini, Giancarlo Iliprandi, Andrea Incontri, Matteo Ingaramo, Massimo Iosa Ghini, James Irvine, Francois Jegou, François Jegou, Lodovico Jucker, Youngjoo Kim, Perry King, Julia Kleiner, Anton Paul Kobrinez, Gholam Kowsar, Susanne Kreuzer, Ugo La Pietra, Claudio La Viola, Edoardo Landi, Paolo Landi, Ettore Lariani, Giovanni Lauda, Ferruccio Laviani, Francesca Lavizzari, Lucio Lazzara, Alessandro Lazzari, Robert Le Quesne, Alberte Leclerc, Colomba Leddi, Piero Leonardi, Frencesco Leonetti, Eliezer Levy, Vittorio Linfante, Roberto Liscia, Andrea Lissoni, Vittorio Locatelli, Paolo Lomazzi, Gianluigi Lombardi Cerri, Monica Longhi, Tiziana Lorenzelli, Giorgio Lorenzi, Francesco Lucchese, Marco Luitprandi, Franco Lumini, Italo Lupi, Giovanni Lussu, Andrea Luvisutti, Antonio Macchi Cassia, Antonio Macchi Cassia, Cesira Macchia, Paola Maggi, Daniele Maggioni, Carlo Magistretti, Germana Magnani, Aurora Magni, Grazia Magrassi, Grazia Magrassi, Massimiliano Maini, Massimo Malagugini, Marina Malavasi, Tomàs Maldonado, Giovanni Malossi, Andrea Manciaracina, Stefano Mandato, Annamaria Manferdini, Andrea Manfredi, Monica Manfredi, Sara Mano, Ivano Mansueto, Alberto Mantegna, Ezio Manzini, Alberto Marangoni, Maurizio Marcato, Roberto Marcatti, Alessio Marchesi, Maria Chiara Marchesi, Vittorio Marchetta, Antonio Marculli, Giuliano Marelli, Ilaria Marelli, Osvaldo Marengo, Maurizio Marian, Ciro Mariani, Pietro Mariani, Beatrice Marin, Eugenio Marogna, Nicola Marras, Cristoph Marti, Patrizia Marti, Pierangelo Marucco, Stefano Marzano, Simona Maschi, Camilla Masciadri, Fabia Masciello, Laura Massa, Gianmario Massari, Lucia Massarutto, Roberto Massetti, Andrea Massioli, Mario Mastropietro, Fumi Masuda, Walter Mattana, Massimo Mauri, Massimo Mazzoleni, Michela Mazzucchelli, Norman Mc Nally, Giuseppe Meana, Alberto Meda, Luca Megale, Giampiero Mele, Alessandro Mendini, Sergio Menichelli, Giuseppe Menta, Marco Meraviglia, Cesare Mercuri, Luigi Merlini, Iveta Merlinova, Francesco Messina, Simone Micheli, Laura Micoli, Francesco Micotti, Marco Migliari, Lodovico Migliore, Armando Milani, Maurizio Milani, Tatiana Milone, Tatiana Milone, Maurizio Minoggio, Santiago Miranda, Egidio Miti, Girolamo Modenato, Giacomo Mojetta, Giacomo Mojoli, Ezio Molinari, Pier Molinari, Lorenzo Molinari Tosatti, Marco Molteni, Fabio Moneta, Federica Monetti, Renato Montagner, Federico Montanari, Pietro Montefusco, Andrea Montironi, Francesco Morace, Alberto Morelli, Augusto Morello, Luigi Moretti, Andrea Morgante, Michele Morganti, Silvio Morganti, Maurizio Morgantini, Sergio Moriani, Danilo Morigi, Federico Morisco, Giorgia Morlando, Alfonso Morone, Nicoletta Morozzi, Nicoletta Morrone, Carmela Mulas, Holger Muller, Francesco Murano, Francesca Murialdo, Roberto Musante, Sabrina Muschiato, Silvana Musella, Lorenzo Mussi, Filippo Naggi, Roberto Napoli, Antonella Narcisi, Riccardo Nava, Bob Noorda, Nicola Novelletto, Roberto Nucci, Sergio Olivotti, Sergio Oriani, Franco Origoni, Roberta Orio, Paolo Orlandini, Giancarlo Ortelli, Michele Ottomanelli, Elena Pacenti, Paolo Padova, Angelo Pagani, Luciano Pagani, Cinzia Pagni, Alessandro Palazzo, Margherita Paleari, Gianluca Palermo, Pietro Palladino, Clelia Pallotta, Lorenzo Palmeri, Marco Palmonari, Roberto Palomba, Daniela Paltrinieri, Jogendra Panghaal, Maria Antonella Pansera, Mauro Panzeri, Luigi Paracchini, Paolo Parlavecchia, Francesco Parvis, Matteo Pasca, Girolamo Pasin, Diego Pasinato, Davide Pasinetti, Gianni Pasini, Giovanni Pasini, Ludovica Pasqui, Sandro Pasqui, Michele Patane', Marinella Patetta, Marco Pavanello, Francesca Pavese, Iacopo Pavesi, Jacopo Pavesi, Marco Pea, Terry Pecora, Marilia Pederbelli, Vincenzo Pennati, Clara Pepe, Rebecca Pera, Giuseppe Perchinelli, Enrica Pero, Manuela Perugia, Angelo Perversi, Antonio Petrillo, Gabriele Pezzini, Gianluigi Pezzotti, Roberto Piccinelli, Bruno Piccoli, Matteo Piccoli, Roberto Pieraccini, Roberto Pieracini, Alessandro Maria Pierandrei, Fabrizio Pierandrei, Ruggero Pierantoni, Paolo Pieri, Gabriele Pierluisi, Alice Pignatel, Fabrizio Pignoloni, Giovanni Pilla, Davide Pinardi, Fabrizio Pini, Sergio Pininfarina, Patrizia Pioli Convertino, Gabriella Piras, Francesca Piredda, Alessandro Pirovano, Carlo Pirovano, Giuseppe Pisani, Enza Pisano, Massimo Pitis, Alessandro Piva, Marco Piva, Luca Placido, Osvaldo Pogliani, Pietro Polato, Anna Poli, Annamaria Poli, Armando Pollini, Marco Poma, Michele Porcu, Ivana Porfiri, Marco Porta, Timothy Power, Piero Pozzi, Piero Pozzi, Costanza Pratesi, Monica Pratesi, Fulvia Premoli, Alberto Prina, Roberto Priori, Giampaolo Proni, Carlo Proserpio, Paola Proverbio, Daniela Puppa, Marco Quaggiotto, Giancarlo Quartieri, Christoph Radl, Franco Raggi, Matteo Ragni, Matteo Ragni, Luciano Ragozzino, Marco Raimondi, Claudia Raimondo, Patrizia Ramadori, Renate Ramge Eco, Francesco Rampichini, Federico Ramponi, Giovanni Randazzo, Massimo Randone, Bruno Rebaglia, Danilo Redaelli, Enrico Redaelli, Fabio Reinhart, Emilio Renzi, Tobia Repossi, Marco Ricchetti, Marco Riceputi, Matteo Ricotti, Innocenzo Rifino, Stefania Rigamonti, Marta Rink Sugar, Paolo Riolzi, Paolo Riolzi, Giorgio Riva, Umberto Riva, Carlo Rivetti, Francesca Rizzo, Erminio Rizzotti, Michael Robinson, Gianni Rocco, Patrizia Rodi, Maria Belen Rodriguez, Rodrigo Rodriguez, Valentina Rognoli, Juan Roldán Martín, Chiara Rolfini, Marco Romanelli, Felice Romeo, Stefano Ronchetti, Fulvio Ronchi, Francesco Ronzon, Paolo Rosa, Valeria Roselli, Paolo Rosselli, Michela Rossetti, Alessandro Rossi, Daniela Rossi, Diego Rossi, Michele Rossi, Michele Rossi, Italo Rota, Andrea Martino Rovatti, Manuela Rubertelli, Flora Ruchat, Paolo Rugarli, Maria Elisabetta Ruggiero, Michele Russo, Angelo Sabbioni, Rosa Sacchetto, Giampietro Sacchi, Marc Sadler, Alberto Sala, Franca Sala, Maurizio Sala, Massimo Sale Musio, Giuliana Salmaso, Pierluigi Salvadeo, Alberto Salvati, Giovanni Salvati, Filippo Salvetti, Sergio Salvi, Sonia Sancassani, Simone Sanfratello, Daniela Sangiorgi, Simona Sansonetti, Denis Santachiara, Giorgio Santagostino, Giorgio Santagostino, Wiliam Sawaya, Maria Antonietta Sbordone, Luca Scacchetti, Luca Scacchetti, Alessandro Scandola, Alessandro Scandurra, Benedetta Scansani, Stefano Scarani, Erminia Scarazzini, Erminia Scarazzini, Gabriella Scardi, Anna Maria Scevola, Raimondo Schettini, Viola Schiaffonati, Francesco Schianchi, Paolo Schianchi, Matteo Schiliro, Matteo Schiliro', Giovanni Scialpi, Dario Scodeller, Piero Scotti, Francesco Scullica, Cristiana Seassaro, Marco Sedazzari, Marco Sedazzari, Daniela Selloni, Davide Selmo, Fabio Sergio, Margherita Servetto, Luigi Sessa, Michele Sganga, Dario Sigona, Maria Cristina Silva, Paola Letizia Silva Coronel, Claudio Silvestrin, Claudio Silvestrin, Narciso Silvestrini, Giovanni Simonetti, Walter Simoni, Andrea Siniscalco, Gianni Sinni, Dario Sironi, Susanna Slossel, Luciano Soave, Luciano Soave, Alberto Soi, Michela Solari, Maria Grazia Soldati, Fabio Soverati, Franca Sozzani, Ernesto Spicciolato, Eduardo Staszowski, Anna Steiner, Nancy Stetson Martin, Harald Stetzer, Anna Maria Stillo Castro, Karin Stoppa, Nanni Strada, Margherita Suss, Filippo Taidelli, Setsu Takashi Ito, Hiroko Takeda, Claudia Tarolo, Panteha Tassi, Carlos Teixtera, Francesca Telli, Andrea Terranova, Massimo Tisi, Matteo Titotto, Umberto Tolino, Valerio Tonel, Gabriele Tonelli, Maria Cristina Tonelli, Jorn Tornquist, Jorrit Tornquist, Corinna Torri, Gianfranco Torri, Angelo Tosarini, Daria Tosato, Francesco Trabucco, Paola Trapani, Luca Traverso, Luigi Trentin, Ambrogio Tresoldi, Matteo Tresoldi, Matteo Tresoldi, Silvio Trevisani, Clino Trini Castelli, Sita Trini Castelli, Guido Tripaldi, Gabriele Troilo, Patrizia Trupiano, Patrizia Trupiano, Ivana Tubaro, Daniele Turchi, Huub Ubbens, Paolo Ulian, Giorgio Upiglio, Federica Vacca, Claudio Valent, Marco Valente, Giorgio Valentini, Amelia Valletta, Roberta Valtorta, Maria Grazia Varisco, Stefania Varvaro, Alessandra Vasile, Tatiana Vasileva Tchouvileva, Alberto Veca, Marcello Vecchi, Valentina Ventrelli, Tommaso Venturini, Alberto Vercella, Matteo Vercelloni, Marco Vernillo, Gisella Veronese, Giorgio Verzotti, Federico Vidari, Pier Vidari, Pierparide Vidari, Stefano Vide, Viviana Vigano', Arianna Vignati, Giorgio Vignati, Massimo Vignelli, Alberto Villa, Alessandro Villa, Daniela Villa, Werner Villa, Werner Villa, Beatrice Villari, Joan Vinyets, Michele Visciola, Ercole Visconti, Lorenzo Vismara, Giovanna Vitale, Maurizio Vitta, Hans Von Klier, Enrico Waibl, Daniel Weil, Patricia Welinski, Rosita Zagoreo, Rosvita Zagoreo, Giulio Zanella, Pier Zanini, Michele Zannoni, Fabio Zanola, Marco Zanuso, Marco Zapparoli, Alberto Zecchini, Ezio Zella, Andrea Zerbi, Michele Zini, Renzo Zorzi, Marco Zung.
Liliana Aguilar, Francesca Andrich, Alessandra Boghetich, Mida Boghetich, Daniele Brandolini, Carola Casiraghi, Claudia Cavanna, Valeria Cima, Carolina Cimò, Alessandra Confalonieri, Rosalba Crocetta, Carolina Cruz, Riccardo Curcio, Silvia De Vizia, Milena Di Gennaro, Silvia di Russo, Franca Fava, Marina Hetzer, Antonietta Leanza, Vittorio Linfante, Stefano Mandato, Catia Olivetti, Francesca Onofri, Jago Pallabazzer, Michela Pellizzari, Chiara Rolfini, Daniela Nicoletta, Sabrina Pancrazi, Stefania Ramonda, Elena Rebella, Gloria Sironi, Marzia Saitta, Federica Stucchi, Anne Schoonbrodt, Elena Tosarini, Lea Tamalio, Antonietta Trotta, Pietro Villa, Davide Volontè.
Un ricordo di Alberto Seassaro del Personale della Presidenza della Facoltà del Design
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Ho pensato un giorno intero su cosa scrivere del mio amato Preside, un sacco di vita ho passato con lui e i ricordi che ho, mi accompagnano ancora. È stato il periodo della mia vita lavorativa, e non, più fecondo e pieno di entusiasmo.
Quando Alberto mi ha dato la possibilità di creare e gestire un nuovo ufficio dedicato agli studenti, veniva spesso a trovarmi e si sedeva di fronte a me, dall'altra parte della scrivania.
Ovviamente le sue visite non erano sempre disinteressate, si finivano i convenevoli quasi sempre con "ciccina dovresti farmi..."
Ricordo un pomeriggio d'estate, arriva con il suo cappello, impermeabile e la cravatta fatta all'uncinetto rigorosamente fuori dalla patta dei pantaloni, mangiando Smarties come pop corn. Mi chiede se mi piacciono gli Smarties e poi parte con il racconto di un capitolo del libro di de Sade "Justine e Juliette".
Lui era fatto così: voli pindarici come se piovesse! I suoi racconti erano davvero pieni di quella cultura e intelligenza che raramente ho incontrato e per questo poi dovevo scrivergli mail per ricordargli il suo dovere.
Le sue rare mail le ho tenute e custodite gelosamente…ecco cosa mi scrive il 6/9/2013:
Cara ALESSANDRA,
ben tornata! Presumo (spero) bella, abbronzatissima e contenta!
Se il FORCA scrive di aver dato quel suo voto, sarà vero! E quindi non osterei (visto che raffinatissimo verbo – "ostare" – ho usato con te! A scanso di equivoci vuol dire "non opporsi") alla sua verbalizzazione nel mio esame orale di giovedi 12 settembre.
A proposito! Mi sapresti dire – gentilmente – se ci sono iscritti a quell'appello; e (e se ce ne sono) quanti e quali. E, sempre se ce ne sono (ovviamente spero di no!), a che ora e dove sarebbe quest'esame?
Per la verbalizzazione di quel voto (e di quelli degli altri, se ci saranno, iscritti), io procederei come da nostra tradizione, venendo teco (!) di persona dopo l'esame, munito di congrua dose di Smarties (ricordi il mio debito? che, da bravo e onest'uomo mi ha assillato tutta estate).
Un abbraccio,
Alberto.
P.S. – In quella occasione ritirerei anche quel lavoro che – a fine luglio – uno studente ti aveva portato (se nel frattempo non te lo sei venduto!).
Alessandra Boghetich
Un uomo che aveva molti orizzonti e nessun confine, per il quale i limiti erano solo stimoli ad andare oltre.
Oltre anche ai margini dei fogli: lunghissimi scritti inviati di notte per fax; pagine fitte di testo da parte a parte. Quelle parole troncate, nella stampa del documento, obbligavamo anche me ad andare oltre, ad immaginare il senso delle cose senza averle davanti.
Gloria SIroni
Quando ho conosciuto Alberto Seassaro, ho avuto da subito la percezione di essere di fronte ad un uomo straordinario, dall’irrefrenabile desiderio di realizzare un “sogno” e con una singolare capacità di coinvolgere e far sentire le persone, che collaboravano con lui, parte di quel sogno. Credo sia stato questo il motivo che mi ha tenuta incollata in ufficio per ore, per giornate intere, a volte anche festive, a lavorare gomito a gomito con lui
Milena Di Gennaro
La mia storia con Alberto Seassaro inizia subito dopo la mia Laurea in Disegno Industriale. Ho conosciuto il Sea nel 2002, anno in cui iniziai a collaborare con il Sistema Design, nell’allora ufficio Progetti Speciali coordinato da Alessandro Deserti. Da giovane collaboratore ebbi più di qualche occasione per interagire con lui. Per noi era lo “sceriffo”, non per un atteggiamento autoritario ma per il tintinnio delle chiavi appese alla cintura, che ricordava il suono degli speroni da cowboy. Era un suono familiare che sentivamo sempre più vicino, tanto più quanto si avvicinava all’ufficio; ogni tanto si affacciava alla nostra porta, chiedeva come andava e se tutto fosse sotto controllo, sempre con il suo sorriso pronto. Per noi giovani progettisti aveva sempre qualche battuta scherzosa o un incoraggiamento tra il burbero e il sorridente, come era tipico del Sea.
Con la nuova sede al terzo piano dell’edificio B1, e con la mia collocazione in uno degli uffici della Scuola, la mia collaborazione con il Sea divenne più frequente. In quegli spazi, che il Sea viveva come una secondo casa, ci siamo occupati di pubblicazioni, di eventi, di progetti speciali e di presentazioni. Il Sea schizzava diagrammi e mi chiedeva di mettere in grafica.
Ma il ricordo più bello che ho di lui è legato al suo desiderio di apprendere come studente. Dopo aver lasciato la Presidenza della Facoltà, e spinto dalla necessità di un’“autonomia informatica,” ero diventato il suo “insegnante di computer.” Una volta a settimana, ci trovavamo nel suo ufficio di dipartimento, intorno alle 18:00, per lezioni sugli strumenti informatici. Non aveva grandi pretese: voleva imparare a scrivere testi e mandare e-mail. Il suo bisogno di indipendenza informatica suscitava in me tenerezza, ma anche qualche timore: sarei riuscito a fargli acquisire abbastanza sicurezza per digitare tutto ciò che scriveva a mano su decine di fogli?
Il 15 marzo 2011 inviò autonomamente la sua prima email. L’oggetto era “Iniziazione” e scrisse, ad Antonella Penati con me in copia: “Cara, cara, questo è il mio primo lancio di e-mail. Ai posteri l'ardua memoria! Alberto.” Ricordo la mia sorpresa e soddisfazione nel leggerla: avevo capito di avergli dato quell’autonomia che cercava. Da allora ricevetti altre e-mail, notando la sua crescente confidenza con lo strumento.
In conclusione, il mio ricordo di Alberto Seassaro è quello di una figura poliedrica, capace di coniugare autorevolezza e grande umanità, intelligenza e ironia. Il "Sea" non era soltanto il Preside della Scuola del design e un professore del Politecnico di Milano, ma una presenza unica, sempre disponibile ad ascoltare, sorridere, incoraggiare o se necessario “bacchettare”. Anche nei momenti più quotidiani, come le nostre lezioni pomeridiane di informatica, sapeva mettere in gioco la sua curiosità e umiltà, caratteristiche rare in una persona con una carriera così importante alle spalle. Grazie a quelle esperienze, oggi posso dire che Alberto Seassaro è stato per me un esempio di come si possa essere dei maestri veri: non solo insegnando e guidando, ma anche aprendosi al cambiamento e mantenendo intatto lo spirito di scoperta.
Andrea Manciaracina
Un uomo che ho ammirato moltissimo, instancabile, che credeva fortemente nei suoi ideali, di cui ricordo con il sorriso, giornate di lavoro infinite, lenzuoloni di fogli scritti a mano, lavoro di squadra fino a tarda sera, che mi ha insegnato molto e fatto sentire fin da subito parte della sua squadra.
Marzia Saitta
Ti parlava guardandoti dritto negli occhi, e sapevi che avrebbe detto esattamente quello che aveva in mente, diretto e senza filtri. A volte si interessava di te, e ascoltava con attenzione, sempre senza allontanarsi con lo sguardo, né col pensiero.
Daniele Brandolini
Non sono una persona dalla memoria infallibile, anzi, ma se penso al prof. Seassaro (detto il Prof.) molti aneddoti mi vengono alla mente.
In particolare, una sera stavo uscendo per tornare a casa e, nel corridoio bianco dell'edificio di via Durando 38, vidi arrivare lui, con il suo impermeabile beige e con quel sorriso che sfoderava nelle occasioni speciali, quelle in cui bisognava lavorare ad oltranza.
Rientrati in ufficio mi porse un lungo lunghissimo foglio fatto di A4 giuntati, pieno di parole scritte con la sua inconfondibile grafia da decifrare, acuta come la sua mente. Un elettrocardiogramma per rendere l'idea. Ad un certo punto mi misi al computer, iniziai a digitare, lo guardai e gli domandai: "Prof. per quando deve essere pronto il documento?", lui guardandomi rispose "per ieri".
Caro Prof. ti voglio ricordare così: con le tue parole scelte con cura perché "hanno uno spessore", come ti piaceva ripetere, con il tuo sorriso e il tuo sguardo furbo di chi la sa lunga, e con un lembo dell'impermeabile chiuso fuori dalla portiera della tua Panda, che svolazzava mentre sfrecciavi per la tua Milano, verso ambiziosi progetti.
Francesca Chantal Onofri
Il Sea era una persona speciale di valore che lottava per quel che credeva, che non si dava mai per vinto. Il Prof. era anche un hard disk umano, più volte mi diceva, cerca quell’email, cerca quel documento che abbiamo inviato a…. e dopo aver cercato, e non trovandolo, glielo riferivo e mi rispondeva: “cerca ancora perché è stato fatto/inviato”… alla fine aveva sempre, sempre ragione.
Che memoria invidiabile! Qualche volta ci siamo scontrati perché le volte in cui arrivava nel tardo pomeriggio e lo salutavo perché era finita la mia giornata lavorativa, mi diceva, “ma come? Già vai via? Così presto?”.
Trascrivendo i tanti lenzuoloni (erano innumerevoli fogli A3 pinzati 😊 ), imparare la sua scrittura mi ha permesso di migliorarmi lavorativamente in tanti aspetti.
Poi, soprattutto nelle giornate di lavoro extra, c’erano momenti per chiacchierare e mi raccontava alcuni aneddoti della sua vita da “spirito libero” (soprattutto da giovane) e rimanevo sempre così affascinata e stupita… bellissimi ricordi che custodisco con affetto.
Marina Hetzer
Prof.... una parola corta ma che in questo caso può raccontare un grande vissuto professionale e interpersonale.
Il Prof. Seassaro era un vulcano instancabile, grazie alla sua visione e determinazione siamo la “Scuola del Design”, e per me è un onore far parte di ciò che lui ha lasciato. Ogni tanto capitava che ci scontrassimo per i ritmi irrefrenabili a cui era abituato, ma poi con un sorriso e una parola si dimenticava tutto... Era un grande oratore, i suoi racconti di vita affascinavano, era anche un esempio tangibile di padre diciannovenne che, nonostante una grande responsabilità, era riuscito a portare avanti il suo progetto.
Ho un bellissimo ricordo, quando ero in procinto di sposarmi ci aveva tenuto a inviarmi in Puglia un bigliettino simpaticissimo che custodisco gelosamente e un bellissimo bouquet di fiori.
Lo ricorderò sempre con stima e affetto!
Lea Tamalio
L’omaggio dei colleghi della Facoltà alla cerimonia di commemorazione 
Un ricordo di Alberto Seassaro di:
ADI, Alberto Seassaro, Una Figura centrale nella storia della formazione al Design in Italia
Documento
Un ricordo di Alberto Seassaro di Francesco Siliato
Documento
Un ricordo di Alberto Seassaro di Ezio Manzini
Documento
Emilio Faroldi
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In qualità di pro-Rettore Delegato porto il saluto del Rettore e, di riflesso, di tutta la comunità politecnica ad Alberto Seassaro, docente e professore Emerito, che tanto si è prodigato nel contribuire alla crescita del nostro Ateneo. 
 
Alberto, nel corso della sua carriera accademica, ha fatto il gesto più significativo che un professore può compiere: mettere a disposizione della collettività la sua intelligenza, la sua indubbia lungimiranza, il suo infinito talento. 
 
Se oggi siamo qui, nel baricentro della formazione e della ricerca nel mondo del DESIGN milanese, nazionale, internazionale lo dobbiamo in gran parte proprio a lui: intellettuale tra consenso e dissenso che proprio nel “guardare lontano” ha riposto una filosofia di vita. 
 
I suoi interessi ampi e diversificati rivolti alla progettazione e alla sperimentazione, alla professione e alla ricerca, alla produzione edilizia, ma anche all’arte e all’artigianato, alle tecnologie del futuro, accompagnate da un’attrazione per la storia, hanno animato il suo operato nel corso dell’intera vita, indirizzandolo, alcuni anni dopo, verso nuovi orizzonti, quelli appunto del DESIGN, che già a quel tempo probabilmente iniziava a profilare. 
 
A partire dai suoi interessi per la tecnologia e per la produzione edilizia, per la prefabbricazione, l’arte, l’artigianato e la sperimentazione, il suo impegno si sposta progressivamente e con decisione verso il Disegno industriale. 
In tale ambito riveste vari ruoli, tra i quali Presidente del Corso di Laurea quinquennale in Disegno industriale dal 1994 al 2003; Presidente del Consorzio Poli.design dal 1999 al 2002; Preside della Facoltà del Design dal 2000 al 2010, la prima Facoltà di Design in Italia sia anagraficamente sia per dimensione. 
 
È proprio all’avvio di questo percorso di crescita straordinario – certamente raro ed eccezionale nel panorama universitario italiano – che i nostri percorsi a cavaliere tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, si sono incrociati. 
 
Teatro di tale frequentazione: gli spazi del Dipartimento, di anima tecnologica, che allora portava l’indimenticabile nome di PPPE (acronimo impronunciabile ma facilmente memorizzabile che stava per Programmazione Progettazione e Produzione Edilizia) per poi mutare titolazione, appunto, in Di.Tec (Disegno Industriale e Tecnologia dell’Architettura), finalizzato anche a fornire visibilità e spessore all’area del Design: un mondo che stava progressivamente assumendo un ruolo sempre più significativo e strategico all’interno dell’Ateneo. 
In quegli spazi ristretti, ma estremamente ricchi di persone, carte, appunti, documenti, idee e visioni nacque, grazie ad Alberto, il primo corso di laurea in Design a livello nazionale. 
Primo seme e frammento di quello che oggi rappresenta il Sistema Design del Politecnico di Milano, un luogo di eccellenza didattico, di ricerca e di sperimentazione, un modello di riferimento a livello internazionale. 
 
Ad Alberto Seassaro, al suo impegno intenso, costante, a volte persino testardo, rendo omaggio. 
 
 
Emilio Faroldi 
Milano, 10 settembre 2020 
 
Alessandro Deserti 
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[…] Oggi, ai più giovani nella nostra comunità appare normale che il Politecnico di Milano si presenti come un’università che si occupa di formazione e negli ambiti dell’architettura, del design e dell’ingegneria. Non molti anni fa questo non era: nonostante l’importanza del design milanese e il fatto che quasi tutti i suoi esponenti storici si fossero formati qui, il Politecnico era fondamentalmente una scuola di ingegneria e architettura. Se il design è emerso non solo come cultura intermedia tra architettura e ingegneria, ma con un proprio statuto autonomo, lo si deve in primo luogo ad Alberto Seassaro, alla sua proverbiale tenacia e a una visione ampia e di lungo periodo. Il Politecnico ha abbracciato il cambiamento, ne ha colto le potenzialità e le opportunità, lo ha accompagnato e sostenuto ma lo ha anche, in alcuni momenti, frenato e osteggiato. Il nuovo si è fatto avanti, secondo il classico modello shumpeteriano, combattendo il vecchio, con non poca dialettica che ha fatto il bene di tutti. Ecco: la dialettica e il contrasto. Alberto arrivava da una fede anarchica. Di qui l'attitudine al contrasto al potere costituito e la sfida alle regole.  
Grazie alla forza di un'idea e alla visione ambiziosa, Alberto è stato capace di trasformare un’università. Oggi abbiamo una Scuola tra le prime al mondo, un Dipartimento di design tra i più grandi, e credo anche più importanti, al mondo, che mi onoro di dirigere, e un sistema della formazione non istituzionale con un catalogo ampio che svolge il ruolo di cerniera tra università e sistema produttivo. Quando abbiamo iniziato c'era una stanzetta, sovraffollata e in condivisione, dove Alberto ancora fumava parecchio, rendendo l’aria irrespirabile, da cui pare impossibile che tutto abbia avuto origine.  
Ho conosciuto Alberto quando ero ancora studente e mi sono laureato con lui nel 1992. Allora il progetto del design al Politecnico ancora non esisteva ma sarebbe arrivato a breve. Quando ancora dovevo laurearmi, Alberto mi ha coinvolto nell'organizzazione di una mostra che trattava il tema del riuso abitativo dei sottotetti, che sarebbe poi diventato il tema della mia tesi di laurea. Il suo interesse arrivava da una contingenza: aveva ristrutturato un grande sottotetto in corso Garibaldi, che era diventato la sua nuova casa. Avendo incontrato mille difficoltà normative, da buon anarchico aveva sfidato l'ordine costituito, facendo tutto quanto non si poteva fare ma che era logico fare, perché erano disponibili le tecnologie che consentivano di trasformare i sottotetti in abitazioni che garantivano perfette condizioni di comfort. C’erano inoltre motivazioni di cui solo molto tempo dopo si è riconosciuta la rilevanza, come la possibilità di incrementare la disponibilità di spazi abitativi nelle città senza ulteriore consumo di suolo, rifunzionalizzando e riqualificando il patrimonio esistente. Avevamo lavorato con il Comune di Milano e la Regione, e in effetti di lì a poco fu emanata la prima legge regionale sull'uso abitativo dei sottotetti. Un episodio di quell'esperienza dice molto di Alberto. Preparavamo le tavole per la mostra in un seminterrato, sempre vicino al Poli. Complice la scarsa luce naturale, lavoravamo giorno e notte e, a dire il vero, circolavano più whisky e gin che acqua. Io preparavo delle tavole piuttosto rigorose, con una griglia di impaginazione che avevamo definito. Del resto, ero uno studente che, in modo scolastico, rispettava le regole. Impaginavamo a mano, incollando testi e immagini con colla spray, e poi utilizzavamo una fotocopiatrice di grande formato per ottenere le tavole finali. Alberto lavorava sulla stessa griglia ma era come se la griglia non ci fosse: componeva degli enormi collage, accostando liberamente le immagini per realizzare delle composizioni molto articolate e complesse. L'amore per la complessità, forse anche la ricerca della complessità, era un suo tratto distintivo che avrei conosciuto in seguito. Dietro a questo suo stile c'erano però anche il suo passato di artista, la sua passione per i fumetti e una grande cultura visiva. Mi ricorderò sempre quello che ha fatto in una tavola con una grande fotografia storica, o meglio un insieme di fotografie, dei tetti di Milano. Ritagliava abbaini e finestre da tetto, le riduceva o ingrandiva con la fotocopiatrice che avevamo a disposizione, le metteva in posizione prospettica corretta e le incollava sui tetti. Oggi si direbbe che “photoshoppava” le immagini. Visto che lo guardavo perplesso, mi spiegava che quelle finestre e abbaini, che sottendevano l'uso abitativo, c'erano in passato ma erano poi stati tolti per impedire che i sottotetti fossero abitati quando le tecnologie in grado di garantire l'igiene e la vivibilità degli ambienti non erano ancora disponibili. Insomma, aggiustava la storia per un fine a suo avviso alto. Aveva la certezza che la forza di quelle immagini potesse sostenere una tesi e una causa. 
Quel po’ di necessaria spregiudicatezza e quella stessa forza e determinazione nel proporre una visione e portare avanti il nuovo, Alberto le ha poi messe nel progetto del design al Politecnico, facendolo diventare un progetto di dimensione nazionale e, per quello che siamo oggi, internazionale. Facevamo cose che oggi possono sembrare assurde e che sono certamente contrarie a tutte le regole che oggi nel mio ruolo mi trovo a far rispettare. Non so quante volte abbiamo scavalcato i cancelli per fermarci a lavorare la sera o nel fine settimana. Tutta la comunità del design, anche senza scavalcare cancelli, è cresciuta in questo spirito e clima culturale. Allo stesso tempo, sarebbe riduttivo vedere Alberto solo come un anarchico. Come tutte le persone interessanti, era caratterizzato da piccole e grandi contraddizioni, che hanno paradossalmente portato un anarchico a guidare un grande processo di istituzionalizzazione. Alberto ci lascia però una grande eredità che va oltre tutto quanto ha fatto o che abbiamo fatto assieme, e che riguarda il modo in cui l’abbiamo fatto. Una lezione che credo a un certo punto ci siamo scordati, e che invece deve restare viva. La necessità della dialettica: non contrasto fine a sé stesso, ma appunto la capacità di non chinare il capo, darsi subito per vinti, allinearsi per convenienza, e la tenacia nel sostenere una visione, possibilmente ambiziosa e di lungo periodo. Questa, per me, è una lezione di vita, e spero che personalmente, ma anche come comunità, sapremo interpretare questo spirito. 
Alessandro Deserti 
10 settembre 2020 
Giovanni Baule 
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Caro Alberto, 
in una scuola, lo sappiamo, contano gli insegnamenti che uno lascia e questi sono la misura massima di qualunque riconoscimento. 
 
E ci sono insegnamenti che vanno al di là dei saperi strettamente disciplinari. 
 
Hai insegnato e ci insegni  
che cos’è uno spirito libero 
uno spirito libero che sceglie di muoversi all’interno dell’istituzione: ci insegni cos’è costruire all’interno di un’istituzione.  
 
Ci insegni che operare per la scala collettiva  
è responsabilità tutt’altro che scontata, anche per chi assume cariche istituzionali  
 
Ci insegni che questo è parte del nostro mandato, la dimensione civile del nostro mandato:  
quello di edificare strutture dentro le quali possa crescere il lavoro e la passione dei singoli, degli altri. 
 
Questo mandato è poi quello del costruttore di cornici, 
figura spesso inavvertita, è la più rara e la più preziosa:  
i carpentieri di sistemi, creano spazi e lasciano spazio. (Ma questo è poi in fondo anche il mestiere dell’insegnare). 
 
Ci insegni che lo spirito libero, il tuo spirito libero, è quello di chi sa scavalcare gli ostacoli  
perché vede oltre gli ostacoli. 
È lo spirito del progettista, ma, possiamo consentircelo, di un progettista che sa essere rivoluzionario. 
 
È lo spirito di chi sa ascoltare il vento di nuove domande della società e vive come propria l’urgenza di dare risposte.  
Quel senso dell’urgenza che ha fatto il paio con la tua caparbietà e la tua perseveranza nel procedere: insofferente per l’immobilismo o le inerzie che il cambiamento incontra. 
 
È lo spirito libero di chi sa pretendere che, se un progetto è giusto, si deve andare avanti e superare tutte le strettoie che si interpongono.  
Così sono nati una Scuola e un Sistema: le condizioni per la nascita di una disciplina diffusa. 
 
Ci hai insegnato a pensare che la cultura del progetto potesse articolarsi e stabilmente declinarsi su campi che prima l’università non osava attraversare. 
 
Hai creduto, per esempio, a una scommessa impensabile, una scommessa nella scommessa:   
che la digitalizzazione della comunicazione poteva passare dalla formazione universitaria, e che da qui potesse lanciare un seme verso tutto il mondo della professione. E così è stato.  
 
Ci hai insegnato che assumersi il rischio di affidare ad una compagine di giovani docenti,  
e anche a qualcuno meno giovane, è un azzardo necessario, che ha rischi ma che può dare frutti. 
Adesso quell’azzardo ha messo radici che nessuno può più abbattere. 
 
Ed è stato un privilegio  
per chi ha accompagnato da vicino il tuo infaticabile lavoro di costruzione,  
per chi ha accompagnato da vicino il tuo percorso nei momenti delle scelte sul piano culturale e istituzionale. 
 
 
Caro Alberto, 
maestro di sculture di luce 
La più luminosa delle tue sculture di luce  
è adesso  
quella che accende gli occhi di migliaia di giovani, studenti, laureati e ricercatori  
che, dagli schermi dei loro computer, sanno anche interrogarsi di continuo e sono anche capaci  
di guardare sempre avanti. 
 
Si sono moltiplicati, sono una costellazione.  
Qui c’è il loro abbraccio, forte come il nostro, forse più del nostro, perché anche nei momenti del buio e dello scoramento il tuo insegnamento - come la loro presenza - ci circonda luminosissimo.  
 
Giovanni Baule 
Milano, 10 settembre 2020 
Valeria Bucchetti 
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Ho conosciuto il prof. Seassaro a fine anni ‘80, quando ero cultrice della materia, una giovane – estranea al mondo del Politecnico e della Facoltà di Architettura – che non aveva alcun progetto specifico all'interno dell'università se non quello di poter vivere delle esperienze di tipo culturale e di continuare a studiare e apprendere, attraverso la partecipazione all’attività didattica. 
 
Ho vissuto pertanto, sin dall’inizio, il percorso che ci ha portato dove siamo arrivati oggi, che proprio in quegli anni iniziava a prendere forma. 
I ricordi sono numerosi e i rapporti iniziali con Alberto non facilissimi. Ricordo al Di.Tec quando diede a Raffaella Mangiarotti e a me un piccolo incarico per realizzare un osservatorio dei soggetti che sviluppavano ricerca e servizi nell’ambito del design e noi disattendemmo – un po’ confuse e inesperte – le sue aspettative, e la reprimenda che ne conseguì, che per molti anni entrambe non potemmo dimenticare. Capendo solo successivamente che quanto ci aveva chiesto faceva parte di un disegno, di un’ipotesi anticipatoria rispetto alla realtà di quel momento, che noi non eravamo state in grado di cogliere. Ma anche le lavate di capo con Alberto erano fuori dal comune, poiché vi dedicava del tempo, quindi stava investendo in quel passaggio, spiegandoti ciò che, dal suo punto di vista, erano stati gli errori. In quel momento ti stava dedicando del tempo per costruire. 
 
In questo lungo percorso, ciò che ho ammirato – tra le tante cose –, così come è già stato ricordato, è la passione di Alberto, una passione che aveva la capacità di trasferire agli altri. 
Alberto Seassaro è stato un ‘motore’ per la nostra comunità, in grado di imprimere energia, capace a volte di intimorire, di travolgere; la cui energia contagiosa richiedeva a ciascuno di noi di alzare, in ogni occasione, la propria asticella personale, di accettare una nuova sfida. 
E nella sfida condivisa, nel campo del design in cui si era calati, Alberto è stato una persona capace di farti sentire parte, non di un’azienda efficiente, ma di un progetto collettivo, cosa che ha ben altro valore.  
Anche quando il tuo ruolo per età o profilo non era centrale, la sensazione era di essere essenziale a un disegno comune, di farne parte. 
 
Tangibile con lui era la percezione di essere costantemente calati in una condizione contrassegnata dal progettare e dal costruire, che lui governava con la sua presenza, con la sua fisicità, con il suo pensiero e che la sua scrivania rispecchiava, attraverso quell’intersecazione e stratificazione di fogli e di appunti – che tutti e tutte abbiamo conosciuto – e che erano una forma di notazione “scritto-grafica” dei suoi pensieri. 
 
Oggi, come coordinatrice di Corso di studi, voglio ricordarlo con particolare riconoscenza poiché è grazie ad Alberto Seassaro che il nostro corso di laurea, e di laurea Magistrale in Design della comunicazione, esiste. Sono pertanto convinta che il debito morale, di riconoscenza, possa essere ripagato non solamente con la prosecuzione del lavoro intrapreso, ma con la capacità di rimettere al centro una visione, con il coraggio di proporre modelli che rispondano a un ideale in cui anche altri possano riconoscersi, con l’ardire di poter essere dei fari capaci di illuminare.  
 
Vorrei in chiusura ricordare Alberto, il Sea, in un mese di luglio a San Fruttuoso, in un sentiero ombroso, inerpicarsi con passo veloce, malgrado le difficoltà; condottiero sempre pronto a rimescolare divertimento, ironia e nuove battaglie. Con il mare davanti a sé e lo sguardo acuto, capace di oltrepassarti. 
 
Valeria Bucchetti 
Milano, 10 settembre 2020 
 
Antonella Penati
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Avrei preferito fare a braccio questo saluto, ma è troppo il timore della commozione che provo.
Contravvengo così, fin da subito, allo spirito seassariano che, facendo propria una delle massime dadaiste, andava ripetendo, “il pensiero si fà in bocca”, “il pensiero si forma in bocca”.
Ed effettivamente, per tutti noi che lo abbiamo conosciuto, è impossibile dimenticare quanto i testi verbali di Alberto fossero irriducibili a schemi, scalette, figurarsi a sequenze di slide. Nelle sue comunicazioni, ogni ordine veniva sovvertito, e poteva succedere che l’apparato di notazioni prendesse il sopravvento sul testo principale. Nei testi scritti invece Alberto era lucido, pignolo e rigoroso. Non credo lo sarò altrettanto.
PER ALBERTO
Ognuno di noi è tante storie, perché ogni storia è la proiezione che gli altri, le persone che abbiamo incontrato, quelle con cui siamo entrati in relazione, fanno su di noi. E proprio per questo ogni storia contiene un suo frammento di verità.
Le persone umanamente molto ricche, come Alberto, vivono e potenzialmente vivranno, storie infinite. Le infinite storie che gli altri raccontano e racconteranno di lui.
E quando le persone umanamente ricche sono anche fini nel pensiero, sanno che queste storie non sono mai lineari, hanno dei chiaroscuri, sono costellate di inciampi, di poesia ma anche di prosa, di gesta descritte come eroiche, e di passi falsi come accade a chi sceglie di sporcarsi le mani con la densità dell’esperienza umana.
E la storia ci insegna anche che non esiste la possibilità di invocare, per dirlo con Carmagnola, un passato ottativo. Il passato non lo si può desiderare diverso da come è stato, non lo si può stortare, lo si può solo leggere calandolo dentro le contingenze del suo contesto storico, riconciliandosi con esso.
Quando poi nel pensiero e nella prassi è dominante la dimensione politica, come lo era in Alberto, qualsiasi lettura di quello che è stato, di quello che siamo diventati, e di quello che saremo, non potrà mai essere una lettura riducibile a vicende individuali. Quello che Alberto ha fatto, lo ha fatto perché non era solo, era parte di una comunità.
L’edificio qui dietro di me, il luogo in cui siamo (che lunedì mattina si popolerà di migliaia di studenti), la comunità concreta che siamo noi oggi, sono i segni tangibili di UNA delle tante storie di Alberto: l’Alberto UOMO DELLE ISTITUZIONI, L’ALBERTO INNOVATORE DI ISTITUZIONI. Storia che convive con quella dell’Alberto artista, dell’Alberto movimentista, dell’Alberto politico, dell’Alberto viaggiatore, dell’Alberto padre, dell’Alberto nonno, dell’Alberto uomo del suo amato quartiere “il Garibaldi”.
Di tutte queste storie, la storia su cui voglio porre l’accento è quella di Alberto di fronte alla malattia e poi alla morte.
Questi pochi passaggi non vogliono introdurre una cifra intimista. Semmai quella privata. Una dimensione questa che, sulla scia di Foucault, aveva visto Alberto, assieme a molti altri colleghi, tra cui Corrado Levi, animare riflessioni, scritti, seminari che prendevano il titolo così denso di implicazioni teoriche “Il privato è politico”.
Peraltro, la malattia e la morte come luoghi fondamentali dell’esperienza umana e dunque del pensiero e della cultura progettuale rimandano a Ida, Ida Farè, grande donna e grande intellettuale che Alberto ha amato e a cui molti di noi sono debitori proprio per aver anticipato e messo al centro del progetto quei momenti dell’esperienza umana che i più vogliono dimenticare o addirittura occultare.
Alberto è vissuto per tanto tempo a tu per tu con la malattia diventata parte integrante del suo quotidiano e su questo banco di prova sono emerse – non ce ne era bisogno a dire il vero – tutte quelle sue caratteristiche che qui sono state declinate per raccontare la sua vita pubblica: la pazienza, la tenacia, l’intelligenza, la caparbietà, l’accettazione (mai la commiserazione), la progettualità. Ma soprattutto l’umanità. Tanta umanità.
La malattia non la scegli, ti capita. Le esperienze che farai, le persone che incontrerai in seguito, le istituzioni sanitarie con i loro riti, i loro protocolli, le loro culture e ideologie del corpo, della malattia e della cura, spesso non dipendono da tue scelte.
È lì, nell’“a tu per tu” con la malattia e con il suo microcosmo socio-tecnico, che si è o non si è. Che si vede la vera capacità di reggere le prove e confrontarsi con il cimento di un corpo che non è più in grado di seguire la testa. Di un corpo che rende dipendenti da tutto e da tutti. Che fa mettere la tua vita nelle mani di persone – medici, infermieri – a cui devi affidarti.
È sul terreno della malattia che Alberto il Grande è stato più Seassariano che mai.
Per la sua indole indomita, le altre battaglie, comprese quelle politecniche, son state a confronto delle passeggiate.
Perché i Consigli di facoltà li mandava giù come un bicchier d’acqua – il minimo del cimento –; gli incontri col Rettore per chiedere sempre qualcosa di nuovo e assolutamente impossibile, il male necessario… «ma non c’è da impensierirsi»; per le beghe di un Senato Accademico spinoso bastava un Negroni; Negroni Doppio per la revisione dello Statuto ex lege Gelmini. Ovviamente.
Ma Alberto e la malattia o meglio Alberto e le malattie o meglio Alberto e tutte le malattie – con un elenco degno almeno delle vertiginose liste di Rabelais, è quello che mi ha insegnato di più.
Meningiti, tumoracci, bronchiectasie, asma, ictus, fibrillazioni atriali, glaucomi bilaterali. La sua cartella clinica era infinita. Anche nella cartella clinica ha avuto il dono di non essere banale.
E guai a dimenticare una patologia: tutto era il minimo indispensabile per definire la sua strabordante personalità. E quindi, se al Pronto Soccorso, per fare veloci in condizioni di emergenza, non venivano trascritte le patologie non ritenute essenziali per quella specifica contingenza, al momento delle dimissioni tornava indietro e recriminava! Si! Re-cri-mi-na-va: «una cartella così mal fatta non l’ho mai vista» – protestava.
«Qui, proprio qui, chiusura delle carotidi al 96%, non avete scritto ulcerata!»
Perché in fondo quel 96% non bastava a definire una sfida. Ulcerata era già più stimolante.
Poi è arrivata la fatidica e fatale miastenia gravis: quel gravis lo inorgogliva. Valeva la pena di essere malato, ma non di una qualsiasi miastenia ma di una miastenia gravis. In realtà è lì che è iniziato il suo vero calvario durato ben dieci anni. Eppure mai, neppure nei momenti più brutti, e sono stati tanti, Alberto è stato arrendevole.
E se mi sono permessa di usare un tono scherzoso è perché Alberto per primo ha giocato con la malattia a partire dal suo proverbiale dito medio, così ridotto a causa di una brutta infezione e che era diventato un po’ il suo segno di sfida al male che lo sfidava.
«Giurami che non ci avviliremo, giurami che mi aiuterai a non diventare mai un uomo ad una dimensione (quella del malato e della malattia), giurami che continueremo a pensare progettando». Devo dire che in questo Alberto ha aiutato me più di quanto io non abbia aiutato lui. Mai un cedimento, mai uno scoraggiamento, fino all’ultimo giorno. Felice di vivere la vita perché anche nelle piccole cose trovava elementi di interesse e curiosità.
In questi ultimi dieci anni, Alberto ha vissuto più in ospedale che a casa e un intero capitolo andrebbe scritto sulle relazioni con gli altri pazienti e con i suoi vicini di letto. Ne ha avuti di tutti i tipi: tramvieri, studenti, cuochi, allenatori di pallacanestro, meccanici che lo hanno introdotto ai canali televisivi dove insegnano a taroccare le automobili; preti con demenza senile che lo utilizzavano come chierichetto per “servir messa”; Rom che per loro usanza radunavano l’intera famiglia nella stanzetta d’ospedale per pranzare e cenare tutti insieme; ragazzi di neppure trent’anni destinati al peggio per patologie gravi. Alberto ha accolto tutti, ha fatto spazio. È entrato in relazione. Per ognuno di loro ha provato interesse, tanta era la curiosità che aveva per le varietà e diversità culturali.
Qualcuno di loro, nonostante i molti anni trascorsi, è qui oggi.
Un ulteriore capitolo, per me il più caro, è il rapporto tra Alberto e i suoi infermieri, fisioterapisti, e quello di Alberto con i suoi medici.
Alberto era un paziente che, nei reparti, veniva definito – usando un termine ripulito dal linguaggio igienico-sanitario – un paziente “esigente”. Quello che nel linguaggio quotidiano definiremmo in altro modo: un rompicoglioni.
Le stanze d’ospedale erano letteralmente colonizzate da lui, dai suoi oggetti, dai suoi fogli di appunti (fogli rigorosamente A3 «perché sugli A4 non ci sta neppure il più elementare dei pensieri»). Ogni elemento della camera veniva personalizzato per rispondere al meglio alle sue necessità. A volte arrivava a cambiare la disposizione di letto e arredi. L’ultimo ricovero è stato un pullulare di adattamenti, tanto poca era ormai la sua autonomia. Progettava, per mantenere la sua autonomia.
Inutile dire che con le caposala è quasi sempre entrato in rotta di collisione: memorabile la sua prima esperienza di degenza lunga al Padiglione di Neurologia Monteggia del Policlinico, quando ancora stava piuttosto bene: la caposala, che lui chiamava Signorina Rottermheier, un giorno entrando nella sua stanza esclamò: o me o lei! Troppo strette le regole per poterci andare d’accordo, troppo frequenti le necessità di fuga, troppa la promiscuità che generava tra malati inizialmente residenti in stanze diverse e poi tutti uniti senza alcuna distinzione di genere nella sua camera o nella sala pranzo dove le partite a carte, accompagnate da gnervit con aglio olio e prezzemolo, gorgonzola, pizze e mojito duravano fino alle 3, 4 del mattino.
Con gli infermieri un rapporto di amore e odio: esigente (nel senso suddetto) ma pronto a ringraziare con un sorriso sornione, una parola gentile, una domanda che mostrava l’interesse VERO per la persona, per la sua condizione, per il suo contesto di vita. Molto diverso dal suo. E proprio per questo degno d’interesse.
Ma dove ha dato il meglio è stato nel rapporto con i suoi medici: veri e propri amici.
Le sue visite, anche quelle ospedaliere più routinarie, che in media durano 10 minuti, con lui diventavano sedute infinite. La malattia era il pretesto per parlare d’altro. Sempre.
Il primo incontro con il dott. Russo, ematologo, durò tre ore d’orologio. Alla richiesta di quali patologie pregresse avesse, Alberto aveva fatto lunghe divagazioni su tutto ciò che di grave gli era capitato nella vita, portandolo quasi in punto di morte. Contammo in quella visita 19 occasioni di scampata morte. Nel racconto si sovrapponevano meningiti con sventure marine, ictus con incidenti stradali, glaucomi con stati di catalessi raggiunti nel tentativo disperato di poter levitare, di poter volare. Nel raccontarsi, faceva aprire gli altri al racconto di sé.
Le terapie? Quelle erano sempre oggetto di contrattazione: Mestinon? «non possiamo fare 1 e ¾ invece di 1 e ½?» «E siam sicuri che l’Aziatropina non sia meglio almeno mantenerne una al giorno». «No Alberto», rispondeva paziente il suo neurologo, dott. Osio, «pesi troppo poco per quel dosaggio». «E allora facciamo una un giorno sì e un giorno no». Andata!
Delle decisioni mediche voleva sapere tutto e dire la sua su tutto: fantastica la battuta del dott. Corbellino, suo infettivologo, che di fronte alle mille domande di Alberto sul perché e il percome di certe cure antibiotiche e sui loro effetti sistemici e locali così rispondeva: «Albertino, fatti i cazzi tuoi»! Su quella battuta abbiamo riso per lungo tempo, ricordandola.
Per ognuno di questi medici, per ognuno di questi infermieri fino all’ultimo dei lettighieri (perché ovviamente era entrato in amicizia anche con loro, sapeva addirittura per chi votassero!) Alberto ha sempre nutrito un grande affetto e, per come è stato curato fino alla fine, per le parole, i gesti, la corrente di simpatia che si è creata attorno a lui, deduco che fosse ampiamente ricambiato.
Li ringrazio tutti, dott. Corbellino, dott. Osio, dott. Russo, dott. Rech, Prof. Antinori, dott.sa Galimberti, Dott.sa Bestetti, dott.sa Merli, dott.sa Fosco, dott.sa Cortelezzi e ne avrò dimenticati senz’altro tantissimi altri. Non smetterò mai di pensarli come persone di grande umanità prima ancora che medici di elevata competenza professionale.
La storia di Alberto, la storia della sua lunga malattia, vissuta comunque con coraggio, racconta di un uomo pieno di spirito e di attaccamento alla vita che fino all’ultimo giorno andava dicendo: se combattiamo insieme vinceremo e, se anche non dovessimo farcela, vinceremo ugualmente, perché abbiamo giocato fino in fondo e siamo felici, ricordandomi il bambino che sul finale de “La vita è bella” in mezzo alle macerie e alla morte esulta esclamando «Abbiamo vinto».
Non lo so se abbiamo vinto mio dolcissimo Alberto, ma come ti piaceva sempre dire, citando di Neruda, “Confesso che ho vissuto”,
con te, confesso di aver vissuto! E ti ringrazierò per sempre.
Milano, 10 settembre 2020
OOOOPS dimenticavo. Le grandi verità della vita: scusa Albe, ma avevi ragione tu. Lady Jane finisce in Re-Mi. Sbagliavo io con una nota sopra. La cantavamo diversa. Ma insieme era un bel cantare.
Antonella Penati
Il Sea di Paola Bertola
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Pasta al pomodoro: filetti di pomodori pelati NON passata di pomodoro, uno spicchio d’aglio e una foglia di basilico per ogni commensale.
Mai pensare di aver finito qualcosa.
Comprare la mastika di Chios.
Pescespada, menta e peperosa.
Il come funziona la logica del branco.
Il come resistere alle provocazioni del Sea (… e quindi a tutte le provocazioni).
Il Martini cocktail al Pub e lo Spritz al Radetky (quando fanno le polpettine, ma adesso è un troiaio di fighetti).
La focaccia genovese pucciata nel caffelatte.
Il senso sta nelle incidentali: come applicare lo stile di Proust alla scrittura e alla vita.
Tovaglie indiane e fazzoletti Paisley.
Camicie color pastello e maglie serafino.
Entrare in contraddizione con se stessi non è vietato.
Meglio essere rispettati che piacere.
Penne pilot e taschini di camicia sporchi di inchiostro di penne pilot.
Il mega-mazzo di chiavi, sempre indosso, come un tatuaggio.
Cravatte all’uncinetto.
Unici vizi intollerabili: ipocrisia e opportunismo.
Stoviglie di latta, bicchieri da osteria e posate d’argento.
Spregiudicato … ovvero scevro da pregiudizi.
Panino mortadella e alici.
Chi è pavido non può essere libero.
La panna spray.
… e il Sea che va, con il suo rumore di Fiat Panda.
Paola Bertola
Milano, 10 settembre 2024
… e il Sea che va, con il suo rumore di Fiat Panda.
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Eeh si! Ciau pep!
E non c’è niente da capire
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E non c’è niente da capire |A ciascuno il suo| Benvenuto raggio di sole| Suonare il sax come Charlie Parker| Segnali di vita| Mi piace il tempo passato a perder tempo| Pensieri e parole| Heidi e la signorina Rottermeier| E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure| Il Politecnico? Non è la vita| Voglio un silos silos si lo voglio| L’Enciclopedia dei ragazzi| …come se fosse ieri| Il Pomatina, il Puzzola, il Total Body, er Centurione| Assolto| Stinger cognac menta secca …e deve fare un ghiaccino sottile sottile in superficie. È lì che vedi la sapienza della mano | E ritornammo a riveder le stelle| Ingmar Bergman| Mi chiamo Ettore e vengo da Brisighella| Io cercavo una ragazza con un fiore tra i capelli, tu sorridi a brutti e belli e un giardino in testa hai| I cannoli, la pasta di mandorle, la cassata| Guidare la Panda come Mister Magoo| Collezionare| Perché in te rivedo le mie radici| La Nene, la Gilli, il Mela, il Corbe| I mosaici bizantini| Masapiòcc| La Richard Ginori e le bambine al lago da sfollati| Seassaro pisa el ciaro| Il papà Carlo com’è stato buono e paziente con me| Love of my life can’t you see, bring it back bring it back don’t take it away from me because you don’t know what it means to me| Ho dieci minuti| Le sculturine di Melotti e le gergalità di Gadda| Abluire| Tonnetto| Acciughina| Non riesco a immaginare il mondo senza l’Alberto| Questa è l’ora che volge il desio e ai naviganti intenerisce il core| La panera del Primula| Bella ma non bellissima |Disponibile? 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Punti di vista| Capirai! | She is like a rainbow, coming colors in the air, o everywhere, she is just a color| Non ho tempo per gli odi imperituri| La mia ragazza non può soffrire né i paterecci né i forunculi né gli orzaioli. Così, per me oggi è finito ogni amore| Duke Ellington|È il minimo sindacale| …e il giorno della fine non ti servirà l’inglese| Gli elefanti indiani sono esseri sacri| La Maria Giulia| Sempre contromano| Debordare| Minestrone freddo col lambrusco| Schedare il mondo in più copie e in più varianti| Gli ospedali privati ti ammalano per far soldi| Al Milese di Alghero| E se io muoio da partigiano tu mi devi sepellar| Non bisogna toccare gl’idoli: la doratura ci rimane sulle dita| Inignatico| Amanti è bello ma non basta| Ore ore ore ore a parlare| Perché sei un essere speciale e io avrò cura di te| Intelligente ma non intelligentissima |Morta Maria vendesi panda blu| Averti addosso, come le mie mani, come un colore, come la mia voce, la mia stanchezza, come una gioia nuova, come un regalo| Il semolino e i passatelli| Avrei voluto passare più tempo con la Nena| Le lacrime agli Uffizi davanti alla Venere| Passeggiata Camogli-Portofino?| La signora della porta accanto| Guell Park| Non ho mai tenuto niente di mio! Quando dovevo raccogliere il materiale per i concorsi mi toccava rifare tutto da capo, libri compresi. Chissà perché perdo tutto!| Il Capitano Slim che fa la conta sui denti a campanellino della balena….. tocca a te che tocca a te che tocca a te che tocca a te…..| El bamburin de la miée d’un ghisa| Le uniche cose importanti? Quelle di poco conto| E senza dire parole nel mio cuore ti porterò| La eterna ragazza| Brutti sporchi e cattivi| Il papero di Rabelais| Io che amo solo te| Una solitudine affollatissima| Il Negroni non si sbaglia| Jago| È un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente| Verrucchio-Milano a squarciagola Acqua azzurra acqua chiara| Estetizzare la politica| Addio Lugano bella|A me piace fare le cose, non possederle| C’ha l’occhio scucito| E sotto, tutto il pantofolificio| Cippirimerlo| È un peccato davvero, ma io già lo sapevo che comunque non potevi esser tu| Dico cose che mi annoiano ma è per farli stare allegri| La mia surela| Mannelli, Pericoli, Luzzati, Makkox, Zerocalcare| Come la prima alba del mondo| Giochi proibiti| Sono insaccato| Se penso a come ho speso male il mio tempo, che non tornerà non ritornerà più| Il pesto senz’aglio è per i turisti milanesi| Ada, Ida e le altre| La mia signora| Avevan bisogno di uno che suonasse il banjo| Jule e Jim| Cantare a squarciagola in mare aperto| Macché| Bianca e rossa che pareva il tricolore| Pimm’s sprite arancia lime cetriolo menta| Ti su del basel, mi giò del basel, se l’era bel| Se non ci fosse la Nilda sarei sull’orlo del baratro| Su quel treno per Rimini| È troppo tardi ma è presto se tu te ne vai| La fisiognomica non mente| La Stefy al Monteggia| Un risotto così, la mamma me lo faceva quando mi metteva in castigo| Amarcord| Se mi va lo faccio e altrimenti no: quando sei cattivo per ignoranza| Quante volte ricciolone? Tre| Che bello il “buonasera” di papa Francesco!| Che fine avrà fatto l’Ezio? | Duel| Un innamoramento sbracato| L’uovo di Piero e il paradiso di Hieronymus| Su nell’immensità del cielo per te e per me| Rossina| Hai presente un canotto mordicchiato da un dobermann, son scoppiato così e così| Mangiare tanto gelato da far venire male alle tempie| La Rita che mi ha curato dalla meningite| Gradisca| Smargiassa| Mi sono innamorato di te, perché non avevo niente da fare| Gemellini| Il respirino e il pisciarello| La luce e l’ombra, la luce e dio, la luce e il calore, la luce e il pensiero, la luce e le tenebre| Candido, o dell’ottimismo| in Pe’| Caldarroste nel cachemire per tenerle caldine| Di fronte ad una persona stupida si è completamente alla sua mercé| I braccialetti d’argento della Nena come una vera nuziale| Prima di mantecare un risotto aggiungi sempre 3 gocce di limone| Marito e moglie non si può, fidanzati è troppo frivolo, compagni sa di vecchio PC| E ho nell’anima, in fondo all’anima, cieli immensi e immenso amore| Calembour| Sono subito da lei| Adoro la Pina| Luca, l’unico amico maschio| Il più mediocre libertino ha sognato sultane; ogni notaio si porta dentro le macerie di un poeta| È il minimo!| Son capaci tutti di fare un bosco verticale a 25.000 euro al metro quadro!| Tachess a mi sangueta| I mozziconi delle Nazionali senza filtro| La ricerca morfologica| Caro il mio amore bello| Mass de fiur| La mamma mi provava la febbre appoggiando le sue labbra sulla mia fronte| Ma per non bagnarmi tutto mi buttava dov’è asciutto| Torta di mele e Calvados| Ecco: vi presento il mio amore| Inutile pretendere d’integrare la morte alla vita e di comportarsi in modo razionale di fronte ad una cosa che razionale non è: ognuno si tragga d’impiccio come può, nella confusione dei propri sentimenti| Gambe merlate| Giulia e Emma| La speranza di nuovi dialoghi senza forzature| Coppie di anziani che ballano a ritmo di sette ottavi| Mi voglion far la festa| Sempre mano nella mano| Parcheggiare la limousine| Musciamme| Billie Holiday| Tristana| Creuza de ma| La telefonata serale alla Bruna| La spiaggia. Grande prova attoriale!| Intollerabile una greca senza feta| Per sempre| ahiaaaa mi fai male! Roby ma sei tu? Con quegli occhi lì come ho fatto a non riconoscerti?| La strada| Il bagnetto lo faccio dal papà| Il velo della sposa| Paola ti posso affidare il mio amore?| Stessa strada, stessa osteria, stessa donna una sola la mia| Le parole giuste per istituzionalizzare un rapporto in maniera non dogmatica e convenzionale, ma solo per trarsi d’impiccio con gli ospedali e gli estranei| The little child inside the man| A A A A| Spargiottina| Mi raccomando: 16 all’ora!| Fare il pippone| Monty Python| Ma dov’è che sono? Mi sembra di non stare in nessun posto. Mo se la morte è così… non è mica un bel lavoro. Sparito tutto: la gente, gli alberi, gli uccellini per aria, il vino| Ma l’è brutt| I rimandi filologici| abbi cura di te|…ma intanto la primavera, tarda ad arrivare| Ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao| E non c’è niente da capire |A ciascuno il suo| 
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Rielaborazione, trattamento grafico di documenti e immagini e impaginazione: Laura Carugati
Raccolta documentale: Paola Bertola, Fausto Brevi, Laura Carugati, Flaviano Celaschi, Paolo Ciuccarelli, Milena Di Gennaro, Lab Immagine Dipartimento di Design, Eleonora Lupo, Alan Maglio, Michele Mauri, Antonella Penati, Agnese Rebaglio, Cristiana Seassaro, Sebastiano Seassaro, Gloria Sironi, Raffaella Trocchianesi.
Contributi e testimonianze: Giovanni Baule, Paola Bertola, Alessandra Boghetich, Giampiero Bosoni, Daniele Brandolini, Andrea Branzi, Bianca Bottero, Valeria Bucchetti, Flaviano Celaschi, Alberto Cigada, Luisa Collina, Claudio Conio, Luciano Crespi, Alessandro Deserti, Emilio Faroldi, Beppe Finessi, Milena di Gennaro, Marina Hetzer, Ugo la Pietra, Doris Leanza, Eleonora Lupo, Cesira Macchia, Andrea Manciaracina, Ezio Manzini, Francesca Onofri, Marzia Saitta, Fabrizio Schiaffonati, Gloria Sironi, Lea Tamalio, Paolo Tinelli, Maria Cristina Treu, Raffaella Trocchianesi.
Supporto alla comunicazione: Eleonora De Marchi con Ufficio Comunicazione Dipartimento di Design
Produzione Video: Gabriele Carbone con Lab Immagine Dipartimento di Design; Alexandra Zotica.
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Alberto Seassaro. Il demiurgo
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